Mediamente, gli italiani stanno meglio di 2-3 anni fa. Dall’altra parte questa ripresa è stata contenuta rispetto alle attese di molti e non ha riguardato tutti: più di un quarto delle famiglie soffre in maniera diretta o indiretta della crisi, la cui fine appare a tutti ancora piuttosto lontana. Lo sottolinea l’indagine “Gli italiani e il risparmio” condotta da Acri in occasione dell’annuale Giornata Mondiale del Risparmio. Per il quarto anno consecutivo cresce (di 3 punti percentuali) la quota di italiani che affermano di essere riusciti a risparmiare negli ultimi dodici mesi: passano dal 37% del 2015 al 40% attuale, il dato più alto dal 2003, superando di gran lunga coloro che consumano tutto il reddito (il 34%, erano il 41% nel 2015).

Il trend del tenore di vita – sia pur lievemente – migliora per il terzo anno di fila: crescono un po’ coloro che migliorano anno dopo anno e sono il 6% (erano il 5% nel 2015, il 4% nel 2014, il 2% nel 2013). Un terzo degli italiani (32%, come nel 2015) dice di aver mantenuto con facilità il proprio tenore di vita. Si riducono coloro che dichiarano di avere sperimentato qualche difficoltà nel mantenerlo (sono il 44%, il 45% nel 2015). Sono stabili le famiglie che al riguardo segnalano serie difficoltà (sono il 18% come nel 2015, erano il 23% nel 2014).

La crisi, però, è ancora parte integrante della vita degli italiani, l’86% la percepisce come grave e ritiene che durerà ancora per anni. La metà dei nostri connazionali si aspetta di tornare ai livelli pre-crisi soltanto dopo il 2021. E le famiglie colpite direttamente dalla crisi sono tuttora molte, più di 1 su 4 (il 28%, contro il  25% del 2015, il 27% del 2014, il 30% del 2013). Il numero dei soddisfatti rispetto alla propria situazione economica supera ancora quello degli insoddisfatti, ma solo di poco  – sono il 51% contro il 49% – ed è in calo rispetto al 55% nel 2015.

Riguardo al futuro dei singoli territori locali in cui gli italiani vivono si registrano il 27% di pessimisti contro il 24% di ottimisti

Inoltre continua a ridimensionarsi la fiducia rispetto all’economia mondiale nel suo complesso: gli ottimisti sono solo il 27% contro il 24% di pessimisti. Per quanto riguarda l’Italia, poi, oggi poco più di 1 italiano su 4 è fiducioso sul futuro (il 28%), mentre gli sfiduciati sono il 40%.

In questa situazione, il numero di italiani propensi al risparmio rimane estremamente elevato: sono l’88% (nel 2015 erano il 90%), ma cambia la composizione di questo dato. Se nei primi tempi della crisi il numero di persone che non vivono tranquille se non mettono da parte dei risparmi continuava a crescere, da due anni questa tendenza è in ridimensionamento: nel 2014, infatti, erano il 46%, nel 2015 il 42%, oggi sono il 37%. Prevalgono, invece, coloro che ritengono sia bene fare dei risparmi senza troppe rinunce, e oggi sono la maggioranza assoluta (51%, +3 punti percentuali) a testimonianza di un affievolirsi dell’ansia di non riuscire a mettere via nulla e della propensione, invece, a risparmiare fisiologicamente nel corso della vita quotidiana.

Al contempo cresce la percentuale di coloro che preferiscono godersi la vita senza pensare a risparmiare: sono l’11% degli italiani (come nel 2006), in aumento rispetto al 2015 (8%). Ma che cosa significa risparmiare per gli italiani?  Per il 63% risparmio significa attenzione alle spese superflue ed evitare gli sprechi; solo per il 10% vuol dire guadagnare più di ciò che si riesce a spendere. Quindi, per la maggioranza, l’attuale cultura del risparmio rappresenta un ponte verso il futuro, sia perché riduce i rischi per la famiglia, e nel contempo la educa a un consumo responsabile, sia perché offre la possibilità di destinare risorse economiche alle attività produttive.

Riguardo agli investimenti, ancor più che nel passato, chi ha risorse disponibili mostra una forte preferenza per la liquidità: riguarda 2 italiani su 3. Inoltre, chi investe lo fa solo con una parte minoritaria dei propri risparmi. Sembra, poi, che l’investimento ideale non esista più: il 32% ritiene che proprio non ci sia (maggioranza relativa, +5 punti percentuali rispetto al 2015), il 30% lo indica negli immobili (+1 punto percentuale), il 30% indica gli investimenti finanziari reputati più sicuri (-5 punti percentuali rispetto al 2015; un calo dovuto probabilmente ai bassi tassi attuali). Ultimi, con l’8%, sono coloro che indicano come ideali gli strumenti finanziari più rischiosi (scendono di 1 punto percentuale rispetto al 2015).

Il risparmiatore italiano è sempre più attento alla (bassa) rischiosità del tipo di investimento (dal 43% al 44%) rispetto alla sola solidità del proponente (dal 28% al 24%) e cresce di 5 punti percentuali l’attenzione ad attività che aiutino lo sviluppo dell’Italia (dal 13% al 18%). Quello che si delinea è il ritratto di un risparmiatore che rifugge il rischio, perché ritiene sempre più di non essere sufficientemente tutelato da leggi e controlli: nel 2016 il 74% parla di norme e controlli non efficaci, mostrando una brusca inversione di tendenza rispetto agli ultimi due anni (era il 58% nel 2015, il 65% nel 2014, il 72% nel 2013) e c’è sempre meno fiducia che la tutela del risparmiatore aumenti nei prossimi 5 anni (il 19% pensa che il risparmiatore sarà più tutelato, mentre il 67% ritiene che lo sarà meno). Questo spiega come mai, considerando lo scarso rendimento degli investimenti ritenuti più sicuri, a fronte di un aumento di capacità di risparmio, cresce al contempo la preferenza per la liquidità. 


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