Come sta l’industria dei videogiochi in Italia? Vive una fase di consolidamento, offre lavoro ai giovani e fra gli operatori primeggia la formazione universitaria. Pc e mobile sono le piattaforme più usate, la vendita digitale il modello di business più diffuso. Il quadro viene dal Censimento dei game developer italiani, presentato ieri dall’Aesvi, l’Associazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Italia. L’indagine è stata commissionata a un gruppo di lavoro dell’Università Milano-Bicocca e ha riguardato 127 studi di sviluppo videogiochi in tutta Italia.

Dal censimento emerge, dice Aesvi, “un’industria in fase di consolidamento, che offre lavoro ai giovani”. L’industria dei videogiochi a livello nazionale sta vivendo una fase stabilizzazione. Aumentano gli studi sul territorio, l’età media degli imprenditori (36 anni) e delle imprese, aumenta il numero di addetti che sale a 1.100 persone (+10% rispetto al 2016). E nonostante il 35% delle imprese intervistate conti un massimo di due addetti, il 47% degli studi ha tra i 3 e i 10 addetti e il 17% dà lavoro a oltre 11 professionisti. Un peso importante ha la formazione dei lavoratori: oltre la metà, il 58%, ha un titolo accademico; due su tre possiedono un diploma di laurea magistrale, hanno conseguito un master o un dottorato di ricerca. Gli ambiti di studio prevalenti sono di natura tecnico-ingegneristica (informatica, architettura e ingegneria).

PC e mobile sono le piattaforme più usate mentre la vendita digitale il modello di business più diffuso. Spiega Aesvi che “la produzione di videogiochi per PC vede nel 2018 nuova e importante crescita, arrivando a contare oltre la metà dei titoli realizzati (51,5% contro il precedente 37%), mentre si contrae ulteriormente quella mobile, che comprende circa un terzo dei prodotti sviluppati (29% rispetto al 35% del 2016). Se il divario tra queste due piattaforme continua ad aumentare, rimane invece stabile la posizione ricoperta dalle console, che si attesta sul 15% delle produzioni totali, mentre quella del web gaming diminuisce di peso, con produzioni pari soltanto al 2,5%. Si registra anche una contrazione di realtà aumentata e virtuale, ambiti per i quali sviluppano soltanto il 9% e il 25% degli studi intervistati”.

Su 127 studi di sviluppo che hanno risposto alla rilevazione, il 76% realizza videogiochi commerciali di intrattenimento destinati a essere venduti direttamente ai consumatori finali (B2C), mentre il 66% opera nel mercato business (B2B) realizzando applicazioni su commessa di terzi, in particolare aziende ed enti. Gli studi di sviluppo operano principalmente in self-publishing (65%), ovvero auto-pubblicando i propri videogiochi, mentre a oggi soltanto il 22% degli studi si affida a un publisher per pubblicare il proprio videogioco di maggior successo.

La ricerca individua anche una serie di raccomandazioni per far crescere l’industria dei videogiochi: definire programmi di sostegno alla produzione di videogiochi, con incentivi e contributi per le aziende che lavorano nell’entertainment e nello sviluppo tecnologico; lanciare programmi per attirare investimenti internazionali; creare poli di eccellenza e un “ecosistema” italiano per condividere competenze e conoscenze; investire nella formazione dei lavoratori.


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