La bussola dei diritti. Big data: chi pensa alla profilazione?
In una società digitaledi cittadini iperconnessi tutto avviene con un click sullo smartphone, dall’acquisto di un biglietto aereo o ferroviario, di un viaggio tutto compreso e della spesa, alla stipula di un contratto, dal pagamento di una bolletta alla prenotazione di una visita medica. In questo contesto, chi pensa alla privacy e al prezzo che si pagna con la nostra profilazione ogni volta che attiviamo una App? Dai dati emersi dalla indagine conoscitiva congiunta sui big data realizzata dall’Autorità per la concorrenza e del mercato, dall’Autorità Garante delle comunicazioni e dal Garante per la protezione dei dati personali, sembra che gli italiani siano consapevoli che online la loro privacy sia a rischio, ma nonostante tutto più della metà degli intervistati sembra preferire la gratuità di un servizio online alla propria sicurezza.
Ci sarebbe da chiedersi, come mai? Da un lato le nostre abitudini quotidiane stanno evolvendo verso una ampia digitalizzazione dei servizi che volente o nolente, incide sul nostro stile di vita fino a renderci le cose più semplici almeno in apparenza. Da questo punto di vista infatti, può sembrare una “comodità” o una vera “rivoluzione” vedersi recapitare entro poche ore un prodotto acquistato online comodamente dal proprio divano di casa, vedersi attivato un contratto telefonico o pagata una bolletta energetica in un click. Da un altro lato però, c’è un prezzo da pagare per questa rivoluzione digitale e quel prezzo siamo noi con i nostri dati personali, le nostre preferenze e le nostre abitudini. Il conto arriverà alla fine, perché come appare anche dalla indagine avviata dalle Autorità, il rischio per la privacy non è di immediata percezione.
Il dato complessivo che emerge dal report delle Autorità è allarmante se si considera che più della metà degli utenti sono consapevoli della relazione esistente tra il consenso al trattamento dei propri dati personali e la gratuità del servizio e circa il 75% degli intervistati si dichiara anche disponibile a rinunciare ai servizi gratuiti per evitare lo sfruttamento dei propri dati; di contro, solo poco meno della metà degli intervistati dichiara che sarebbe disposto a pagare per una App fino a oggi gratuita, pur di difendere la propria privacy. In pratica gli italiani per “difendere” la propria privacy preferirebbero rinunciare a un servizio online gratuito, piuttosto che pagarlo. Un altro dato interessante riguarda la percentuale del 33% degli intervistati che non legge l’informativa sulla privacy, a fronte di un 54% che invece, ne legge solo una parte.
Preoccupante anche l’indagine Agcom, che nell’interim report dell’indagine conoscitiva congiunta sui Big Data, pone in evidenza come gli utenti della rete, in cambio della gratuità dell’accesso a determinati servizi, cedono i propri dati come merce di scambio. In tal modo si conferma “l’esistenza di un prezzo implicito del dato”. Più in particolare, su un campione di oltre un milione di App – pari all’80% degli applicativi disponibili nello store di Google – l’Autorità ha potuto rilevare l’esistenza di una relazione inversa tra la gratuità del servizio erogato dalle App e il numero di informazioni sensibili cedute da parte degli utenti. Se da una parte la domanda di download di APP è correlata negativamente al numero di permessi richiesti in termini di autorizzazione alla privacy, il prezzo delle APP dall’altra, è negativamente correlato al numero di permessi richiesti. Insomma, più permessi vengono richiesti per scaricare una APP, minore è la possibilità che l’utente la installi sul proprio smartphone, e più permessi vengono richiesti per accedere ad una APP, meno costerà la APP stessa. Nonostante tutto, il consumatore non sembra essere del tutto consapevole del valore economico dei suoi dati, di quali dati vengano ceduti e di come gli stessi siano trattati da parte dei diversi soggetti terzi interessati nel processo, ed è proprio in questo contesto, che secondo il Commissario Agcom Francesco Posteraro “le piattaforme hanno assunto potere dominante nei confronti dei consumatori e della concorrenza”. Agcom rileva inoltre come a fronte di un numero elevatissimo di applicativi e operatori, il mercato si concentri in poche grandi piattaforme installate più di 1 miliardo di volte: Facebook, Google Gmail, Youtube, Google Maps, Google Search e Google Play Services.
Lo studio delle Autorità, avviato a febbraio scorso, terminerà a fine anno. Nel frattempo i cittadini a cosa devono stare attenti quando scaricano una App o navigano in rete, anche in considerazione della recente entrata in vigore del nuovo Regolamento UE sulla privacy?. Per prima cosa sarà utile leggere con attenzione le condizioni contrattuali della App che si vuole installare sul proprio smartphone per avere contezza sulla profilazione e su come saranno trattati i propri dati personali. La consapevolezza del rischio quindi non basta, ma occorre piuttosto avere ben chiaro chi e come tratterà i nostri dati personali se si pensa che potrebbero essere ceduti a imprese di marketing che sulla base delle nostre abitudini o delle ricerche che facciamo in internet, potrebbero proporci determinati prodotti o servizi.
Attenzione perché a volte fornendo il consenso “distratto o inconsapevole” alla profilazione autorizziamo anche soggetti terzi, come le aziende di telemarketing o teleselling, a contattarci in modo insistente per proporci perlopiù contratti di telefonia o di energia. La profilazione, infatti, può essere utilizzata dalle imprese per fornire pubblicità personalizzata agli utenti, o anche portare a una price discrimination a seconda della persona o della categoria nella quale essa è inclusa, arrivando anche a determinare forme di diseguaglianza sociale tra i cittadini. In conclusione, ogni volta che scarichiamo una App, condividiamo un contenuto o mettiamo un Like sui social network sarebbe opportuno avere sempre delle accortezze soprattutto nella fase pre-contrattuale in termini di tutela della privacy, e in fase post-contrattuale in termini di verifica delle condizioni contrattuali attivate in particolare durante l’ aggiornamento delle App, operazione strettamente necessaria per il loro buon funzionamento.
di Claudia Ciriello