Lo scandalo Cambridge Analytica era soltanto la punta dell’iceberg del modello di business sui dati adottato da Facebook. Anche dopo che il nuovo regolamento sulla privacy è diventato operativo, il social network ha continuato a utilizzare impropriamente i dati degli utenti.

Da una recente analisi elaborata dal Norwegian Consumer Council emerge infatti che Facebook non consente agli utenti di scegliere in modo consapevole quale utilizzo fare dei propri dati. Tra le richieste poco trasparenti ci sarebbe il processo di accettazione del riconoscimento facciale: gli utenti che non lo desiderano devono passare attraverso diversi clic per assicurarsi che non sia realmente attivato.

Facebook spinge, anche attraverso delle impostazioni predefinite, all’utilizzo di questa tecnologia associandola a una maggiore sicurezza e minimizzando gli aspetti relativi alla privacy. Gli utenti sono portati ad abilitare questa funzionalità, senza essere informati in maniera completa su tutte le possibili conseguenze.

La ricerca dell’organizzazione norvegese segnala criticità anche sulle informazioni e i pop-up di consenso che Google e Microsoft presentano ai loro utenti come parte dell’implementazione del GDPR. Altroconsumo e le organizzazioni in Belgio, Spagna e Portogallo hanno chiesto chiarimenti alle due società.

Altroconsumo sottolinea che “I dati utilizzati da Facebook appartengono agli utenti e solo a loro: i consumatori devono averne il controllo, sapere esattamente per quale scopo sono usati e ottenere un risarcimento congruo al valore creato dal loro utilizzo”.

L’associazione conferma quindi le motivazioni che hanno portato alla class action avviata insieme alle altre organizzazioni di consumatori partner in Belgio, Spagna e Portogallo, con cui si chiede un risarcimento di minimo 200 euro per ciascuno degli utenti del social network.


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