agricoltura

Nuova PAC, le reazioni

Altri sette anni gettati alle ortiche. È il commento dell’associazione Terra! sulla riforma della PAC, la politica agricola comune, votata dal Parlamento europeo. L’associazione ha infatti espresso «sconcerto per una Politica agricola comune completamente sganciata dalla strategia europea per la transizione ecologica. Per quanto imperfetto e insufficiente, il Green Deal doveva essere per lo meno il faro di una politica agricola che assorbe un terzo del bilancio comunitario».

La PAC fra peccati storici e modifiche superficiali

Sono 387 miliardi di euro per la PAC 2021-2027. La distribuzione seguirà le vecchie regole fino al 2023, poi si cambierà approccio negli ultimi quattro anni (nei quali il budget disponibile è di 270 miliardi).

Le regole approvate sono però insufficienti, dice Terra!, perché modificano solo in apparenza la costruzione insostenibile della Politica agricola comune che «continuerà a sussidiare un modello produttivo basato sull’agricoltura industriale e l’allevamento intensivo».

La PAC si porta dietro una serie di peccati storici e la nuova politica europea presenta una serie di modifiche che sono più di facciata che di sostanza, è l’analisi di Terra!

 

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Via libera del Parlamento europeo alla riforma della Politica agricola comune

 

I problemi della PAC

Varata nel dopoguerra per sostenere la produzione europea con fondi pubblici, la PAC ha finito per sostenere grandi e grandissime aziende e per provocare la scomparsa dal mercato europeo di 4 milioni di agricoltori su 14 milioni, in dieci anni. I sussidi della PAC, dice ancora Terra!, «hanno incentivato l’intensificazione della produzione, la standardizzazione del cibo, la concentrazione dell’allevamento e la crescita dell’impatto ambientale dell’agricoltura. Le misure correttive non hanno funzionato: secondo un rapporto della Corte dei Conti Europea, i 100 miliardi destinati nell’ultima riforma (2014-2020) all’azione climatica non hanno prodotto effetti».

Anche nella nuova impostazione, la PAC non dà risposte ai movimenti per la giustizia climatica, che chiedono il passaggio all’agroecologia, e ai piccoli produttori che chiedono una redistribuzione degli aiuti per evitare il fallimento. Quello che riceveranno sono l’impegno a destinare alle aziende di piccola e media scala “almeno” il 10% degli aiuti diretti. Il 3% del budget totale di ciascun paese sarà invece riservato per gli agricoltori sotto i 40 anni.

Terra! denuncia che si rischia molto greenwashing sull’adozione di pratiche agroecologiche. La rotazione obbligatoria delle colture viene lasciata volontaria, e questo è ritenuto un regalo alle monocolture intensive.

Gli Stati hanno più margine di manovra per definire gli impegni di spesa. Ciascun paese dovrà infatti scrivere e presentare un Piano strategico nazionale (PSN) per dettagliare a Bruxelles come intende spendere gli aiuti all’agricoltura.

Un passo avanti è invece la previsione di ritirare i fondi alle aziende che si macchiano di sfruttamento o caporalato.

«L’unico punto positivo resta l’introduzione di una condizionalità sociale, che dovrebbe portare al ritiro totale o parziale dei fondi PAC alle aziende che non rispettano i contratti di lavoro, si macchiano di sfruttamento e caporalato – dice Terra! – Anche qui, purtroppo, l’opposizione di diversi stati membri ha portato all’introduzione di flessibilità: a partire dal 2023, ci sarà tempo due anni per adeguarsi. Chiediamo a questo punto che l’Italia implementi da subito questa misura e faccia da apripista in UE per i diritti dei lavoratori agricoli».


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