I Centri di accoglienza straordinaria (CAS) per richiedenti asili sono un sistema “informale” di accoglienza attraverso centri temporanei affidati agli enti più diversi, spesso privi di adeguate competenze, appoggiati a centri fatiscenti, senza requisiti di sicurezza, che non garantiscono il rispetto degli standard sanitari né dei diritti delle persone che ospitano. Di fatto, i migranti sono “parcheggiati” dove si trova posto, in strutture inadeguate, che non danno alcuna garanzia di trasparenza. Oltretutto questi centri si trovano spesso in contesti sociali problematici che finiscono per favorire l’ingresso nei circuiti del caporalato e dello sfruttamento.
migrantiQuesto il quadro desolante che emerge dal rapporto InCAStrati realizzato da Cittadinanzattiva, Libera e LasciateCIEntrare che dà conto delle iniziative civiche promosse dalle tre organizzazioni in questi mesi sui Centri di accoglienza straordinaria (CAS). La bocciatura è netta: “Non esiste neppure un elenco pubblico di tali strutture straordinarie, della loro ubicazione, di chi le gestisce. Non vi è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto”. Di più. Si legge nel rapporto: “La scelta della gestione emergenziale consente spesso di scavalcare regole e procedure ordinarie nell’affidamento dei servizi, rende totalmente opaca la assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici, abbassa il livello dei controlli pubblici sulla realizzazione degli interventi rivolti ai migranti, produce sacche di speculazione privata e terreno fertile per infiltrazioni criminali. Senza considerare l’effettiva qualità dei servizi erogati ai migranti stessi, quando e dove erogati. Una scelta che si traduce nella mera ricerca di sistemazioni provvisorie per chi arriva, trasformando di fatto l’accoglienza dei richiedenti asilo in un enorme business”.
I numeri dicono che i Centri di accoglienza temporanea in Italia (CAS) sono 3.090, i progetti SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati gestito da Enti locali) sono 430 e i Centri governativi (CARA) sono 13. Per quanto riguarda i costi dell’accoglienza, il Viminale ha stimato 1.162 milioni di euro – 0,14% della spesa pubblica nazionale – per il 2015; 918,5 milioni destinati alle strutture di accoglienza temporanee e governative (CAS e CARA); 242,5 milioni di euro per i centri SPRAR. Su un totale di 98.632 migranti complessivamente ospitati nelle strutture di accoglienza dislocate sul territorio nazionale, 70.918 sono i richiedenti asilo distribuiti nei CAS, ossia il 72% delle presenze complessive.
Nell’ambito della campagna sono state rivolte al Ministero dell’Interno e alle Prefetture una serie di istanze di accesso civico chiedendo la pubblicazione dell’elenco completo dei Cas, degli enti, delle rendicontazioni. Dove è stato possibile è stata fatta un’attività di monitoraggio dei centri, osservando le strutture e parlando con ospiti, volontari e lavoratori. Gli esiti di questo secondo aspetto sono del tutto scoraggianti. Sono stati visitati in tutto 50 centri in Campania, Calabria e Sicilia, selezionati sulla base di segnalazioni dei migranti o di inchieste giornalistiche, e quello che è emerso è che si tratta spesso di strutture improvvisate (hotel, ristoranti, vecchi casolari riconvertiti), con staff del tutto impreparato a gestire l’accoglienza – alcuni operatori non conoscono neppure l’inglese, sono provvisti di formazione in materia di protezione internazionale, oppure c’è un solo mediatore che si occupa di accompagnare in questura, alla Asl, in ospedale, di gestire pasti e criticità. C’è un turn over continuo di operatori anche perché spesso si lavora a tempo pieno mentre i contratti sono part time oppure non si è affatto retributi.
Non ci sono garanzie per la salute fisica e mentale dei migranti che vengono “ospitati” in tali strutture.L’assenza di assistenza adeguata e di percorsi di inclusione è fonte di frequenti casi di depressione o di ingresso dei migranti nei circuiti del caporalato, del lavoro nero, dello spaccio e della prostituzione”, denuncia senza mezzi termini la campagna. I migranti, in alcuni Centri del beneventano, del napoletano e della Calabria, raccontano di trovare lavoro attraverso il caporalato. Ci sono poi strutture lontanissime dai centri abitati oppure situate in zone ad altissima criticità sociale, come in tutta la fascia del casertano che va da Licola a Casal di Principe lungo la Domiziana, dove sono concentrati numeri elevatissimi di migranti: nel solo giuglianese sono presenti oltre 1000 migranti in circa 7 strutture che non svolgono nessun tipo di attività. Per chi si ammala, è lo stesso gestore a “curare” attraverso la somministrazione ordinaria di paracetamolo e nimesulide per le più varie patologie. “A fronte della assenza di adeguati servizi di assistenza psicologica, inoltre, si registrano frequenti casi di patologie e disturbi psicologici, di depressione, fino a tentativi di suicidi”, denunciano ancora i promotori della campagna. Ci sono anche zone in cui l’accoglienza risulta essere gestita da soggetti già in passato denunciati.
La campagna inCAStrati, promossa da Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare e Libera, ha poi presentato  una serie di istanze di accesso civico al Ministero dell’Interno e alle Prefetture chiedendo la pubblicazione dell’elenco completo dei CAS presenti sul territorio nazionale e loro ubicazione, degli enti gestori, di informazioni inerenti gare, convenzioni, rendicontazioni, esiti delle attività di monitoraggio sui servizi erogati. Il Viminale, raccontano dalla campagna, “ritiene di non essere tenuto alla pubblicazione del la “mappa” dei CAS, reputandola peraltro inopportuna per ragioni di tutela della sicurezza degli ospiti. Sul complesso delle informazioni richieste, il Ministero afferma che non ci sia uno specifico obbligo di pubblicazione e rinvia alle singole Prefetture UTG relativamente ai dati sugli enti gestori e sul numero delle presenze nei centri”. Da parte delle Prefetture, la metà ha risposto alle istanze ma si è limitata a fornire dati generici sulle presenze e sui bandi di gara, 52 Prefetture non hanno risposto, in poche hanno dato informazioni dettagliate. Rendicontazione economica di ciascuna gestione, relazioni mensili dei gestori sullo stato di attuazione delle convenzioni, esiti delle attività di monitoraggio e vigilanza delle Prefetture sulla erogazione dei servizi hanno prevalentemente ricevuto risposte negative da parte degli uffici interpellati.

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