Migranti ambientali, la crisi del clima non è uguale per tutti
La crisi climatica non è uguale per tutti. Fa aumentare i migranti ambientali, che vengono soprattutto da paesi poveri dove i cambiamenti climatici hanno un impatto maggiore. Il dossier di Legambiente e il lancio della campagna Puliamo il mondo dai pregiudizi
L’altra faccia della crisi climatica sono i migranti ambientali. I cambiamenti climatici non sono uguali per tutti: hanno un impatto più alto, e più devastante, sui paesi poveri e fra le persone più povere dei paesi ricchi e di quelli poveri.
Nell’ultimo anno è aumentato il numero di persone costrette a lasciare la propria terra e fra esse i “migranti ambientali” – anche se questa figura non è riconosciuta nella legislazione internazionale.
Secondo il report Global Trends dell’UNHCR, nel 2020, 82,4 milioni di persone (il 42% delle quali minori) sono state costrette a migrare. E’ un numero più che raddoppiato rispetto al 2010, quando se ne contavano 40 milioni. Un fenomeno aumentato del 16,4% rispetto ai 70,8 milioni del 2018.
Crisi del clima, ingiustizia, migranti climatici
Innalzamento della temperatura, degrado dei suoli e degli ecosistemi, ondate di calore e siccità, alluvioni e poi conflitti disegnano un legame fra ingiustizia sociale e giustizia climatica, si abbattono su chi soffre gli effetti delle disuguaglianze e le accentuano.
«Ecco la relazione biunivoca, il nodo indissolubile tra l’ingiustizia ambientale e climatica e l’ingiustizia sociale, la chiave con cui sempre più spesso anche il fenomeno migratorio deve essere letto, che è quasi sempre l’unica politica di adattamento ai cambiamenti climatici effettivamente messa in campo e diventa l’unica alternativa possibile alle povertà sociali, economiche, ambientali e alle sopraffazioni. Migrare troppo spesso diventa l’unica risposta a queste complessità che gli uomini e le donne mettono in atto per potersi assicurare un futuro migliore e troppo spesso anche la sopravvivenza».
È quanto si legge nel dossier “I migranti ambientali. L’altra faccia della crisi climatica”, diffuso oggi da Legambiente per accendere un faro sui “vulnerabili tra i vulnerabili” in uno scenario globale che vede l’acuirsi delle disuguaglianze.
Puliamo il mondo dai pregiudizi
La presentazione rientra nell’ambito della campagna Puliamo il mondo dai pregiudizi. Si tratta di un insieme di iniziative che vogliono contrastare i meccanismi che alimentano emarginazione, ingiustizie, soprusi, organizzata da un corposo numero di associazioni attive nell’integrazione di migranti, comunità straniere, diversamente abili, nel recupero e reinserimento di detenuti ed ex detenuti, nella lotta contro le mafie e contro ogni forma di discriminazione.
Puliamo il mondo dai pregiudizi a sua volta è inserita nel più ampio cartellone di appuntamenti di Puliamo il Mondo, l’edizione italiana della campagna di volontariato Clean Up the World (dal 24 al 26 settembre).
Clima e sfollati interni
Se misurare i “migranti climatici” non è facile, c’è un quadro internazionale più chiaro sugli sfollati interni. Sono le persone costrette a lasciare le proprie terre e che rimangono all’interno dei confini nazionali. Per loro, terremoti, inondazioni, desertificazione, siccità, incendi, rappresentano le cause più diffuse degli spostamenti.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), durante il 2020 si sono registrati 40 milioni e mezzo di nuovi sfollati interni, di cui 30 milioni e 700 mila persone sono state obbligate a fuggire a causa di disastri ambientali. 9 milioni e 800 mila persone a causa di violenze e conflitti.
In questo quadro, la mappa delle criticità sociali e quella delle criticità ambientali finiscono per sovrapporsi, sottolinea Legambiente. Sempre secondo dati IDMC, infatti, il 95% dei conflitti registrati nel 2020 è avvenuto in Paesi ad alta o altissima vulnerabilità ai cambiamenti climatici e degrado ambientale.
Per di più, secondo l’UNHCR, l’86% degli sfollati migrati fuori dal proprio Paese è ospite di nazioni in via di sviluppo, anch’esse tra le più vulnerabili dal punto di vista climatico e ambientale.
Scenari di crisi
Lo scenario futuro non si prospetta affatto buono, specialmente se si considerano gli effetti del riscaldamento globale e delle crisi ecologiche che questo (non ancora affrontato) porta con sé. Se la popolazione mondiale dovesse rimanere ai livelli attuali, dice il dossier facendo riferimento sempre all’IDMC, il rischio di spostamenti dovuti alle inondazioni aumenterebbe di oltre il 50% per ogni incremento di un grado centigrado delle temperature globali.
«Le stime globali, molto variabili, oscillano – sintetizza Legambiente – tra i 25 milioni e il miliardo di persone costrette a spostarsi per criticità ambientali indotte anche dai cambiamenti climatici entro il 2050».
Crisi climatica e flussi migratori verso l’Italia
Anche i flussi migratori in Italia sono collegati alla crisi climatica. Quasi il 38% delle nazionalità dichiarate dai migranti arrivati via mare negli ultimi quattro anni (elaborazioni di Legambiente su dati del Ministero dell’Interno) è riconducibile all’area del Sahel, attraversata da una tempesta ambientale e sociale, tra l’avanzare della desertificazione, l’accaparramento delle risorse e i conflitti anche di matrice terroristica.
Se a queste persone, prosegue Legambiente, si aggiungono i migranti arrivati da Paesi dove lo stress ambientale è causa o concausa della migrazione, come Costa d’Avorio, Guinea, Bangladesh e Pakistan, si arriva al 68%. In sintesi, stress ambientali e conflitti sono causa o concausa della fuga dal proprio Paese per circa il 70% dei migranti giunti in Italia negli ultimi quattro anni.
«Le migrazioni sono una sfida globale che non può rimanere nel dibattito interno – dice Vanessa Pallucchi, vicepresidente nazionale di Legambiente – A oggi, lo ricordiamo, la mancanza di un riconoscimento internazionale della figura dei ‘rifugiati ambientali’ è un vuoto normativo da colmare il prima possibile, sebbene anche a livello nazionale ed europeo sia possibile formalizzare nei loro confronti il riconoscimento del diritto d’asilo. Perciò, chiediamo al Governo e al Parlamento italiano di ampliare le forme di protezione nazionale per tutelare chi fugge dagli effetti della crisi climatica, e di farsi portavoce per rendere queste istanze attuabili oltre i confini degli Stati-nazioni, come in occasione delle imminenti Pre-Cop di Milano e Cop-26 di Glasgow».