Editoriale. Censis: non è un paese per giovani. Però ogni tanto aprite le finestre
Confesso: non ce l’ho fatta a leggere tutti i comunicati e tutte le note diramate dal Censis in occasione dell’annuale rapporto sulla situazione sociale del paese. Già quando mi sono imbattuta nell’espressione “una esplosione di molteplicità monadiche” ho gettato la spugna: gli anni del liceo sono lontani e non ho più in casa il manuale di filosofia. Mentre però leggevo la sventagliata di dati che fotografano – in fondo in fondo – l’Italia che continua ad andare avanti, che si arrangia nonostante tutto, che cerca di sopravvivere usando quello che ha, l’Italia in cui i giovani sono più poveri dei nonni e a dirla tutta anche dei padri, ecco: mentre leggevo tutto questo, sentivo che mi serviva a ben poco.
Mi sembra che il Censis non faccia altro che esprimere, con parole incommensurabilmente più forbite, quello che con la testa, con lo stomaco e a pelle sentono in tanti, più o meno giovani: l’Italia in fondo va avanti perché ancora può reggersi sulle spalle della famiglia e delle risorse di famiglia, oppure arrangiarsi nei meandri del lavoro precario, della finta libera professione, dei lavoretti instabili e quant’altro, che tutti insieme permettono di mettere insieme il pranzo con la cena. Ma è sempre lo stesso ritornello: non è un paese per giovani, non è un paese per genitori, non è un paese che riesce a guardare al futuro con un sorriso. Allo stesso tempo, però, proprio questa consapevolezza mi faceva sentire anche altro: questa Italia, oltre che sulle rendite, si basa anche sul lavoro quotidiano di giovani più o meno giovani che ci provano ogni giorno, a inventarsi una start-up (fa figo usare questa parola), a metter su famiglia, a fare un lavoro per passione, ad andare avanti senza sgomitare ai danni di qualcuno altro e senza poter contare sul biglietto da visita col cognome di papà.
Sarà che troppi dati fanno male. Sarà che sono un po’ stanca di sentirmi raccontare il paese dai ricercatori, specialmente quando il racconto contiene sottotraccia sempre un qual giudizio. Sarà che invoco il pessimismo della ragione, però ogni tanto vorrei che si aprissero le finestre. Sarà. Ma quando sono arrivata alla frase “il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta”, mi è venuto davvero da ridere.
di Sabrina Bergamini
@sabrybergamini