Una clausola di rischio di cambio non chiara, rischiosa per il cliente e non riproducente disposizioni legislative può essere dichiarata abusiva dal giudice nazionale. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea esaminando il caso di due cittadini ungheresi che, nel febbraio del 2008, avevano sottoscritto con una banca un contratto di finanziamento per l’erogazione di un mutuo espresso in franchi svizzeri. Il contratto prevedeva che le rate mensili dovessero essere versate in fiorini ungheresi, ma l’importo veniva calcolato in base al tasso di cambio corrente tra il fiorino ungherese e il franco svizzero. Inoltre, il contratto menzionava il rischio di cambio in caso di possibili fluttuazioni del tasso di cambio tre le due valute.

Negli anni successivi il tasso di cambio ha subito notevoli variazioni a danno dei mutuatari, il che si è tradotto in un aumento significativo dell’importo delle loro rati mensili. Così, nel maggio del 2013, gli intestatari del mutuo hanno avviato un procedimento giurisdizionale nei confronti delle due società alle quali erano stati ceduti i crediti derivanti dal contratto di mutuo.

Nel corso di tale procedimento, si è posta la questione se la clausola relativa al rischio di cambio non fosse stata redatta dalla banca in modo chiaro e comprensibile e potesse dunque essere considerata abusiva ai sensi della direttiva concernente le clausole abusive.

Nel frattempo, nel 2014, l’Ungheria ha emanato una normativa diretta ad eliminare dai contratti di mutuo espressi in valuta estera determinate clausole abusive, a convertire virtualmente in franchi svizzeri tutti i debiti derivanti da detti contratti e ad applicare il tasso di cambio fissato dalla Banca nazionale di Ungheria.

Tuttavia, la nuova normativa non ha modificato il fatto che il rischio di cambio grava sul consumatore in caso di svalutazione del fiorino ungherese rispetto al franco svizzero.

Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda che gli istituti finanziari sono obbligati a fornire ai mutuatari informazioni sufficienti per consentire loro di adottare le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa.

Ciò implica che una clausola relativa al rischio di cambio debba essere compresa dal consumatore sia sul piano formale che sul piano grammaticale, ma anche quanto alla sua portata concreta. Ne consegue che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, deve poter non solo essere consapevole della possibilità di deprezzamento della valuta nazionale rispetto alla valuta estera in cui il mutuo è stato espresso, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una clausola del genere sui suoi obblighi finanziari.

Inoltre, la Corte precisa che la chiarezza e la comprensibilità delle clausole contrattuali devono essere valutate facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che hanno accompagnato quest’ultima, nonché a tutte le altre clausole del contratto, sebbene alcune di tali clausole siano state dichiarate o presunte abusive e annullate, per tale ragione, in un momento successivo dal legislatore nazionale.

Infine, la Corte conferma che spetta al giudice nazionale rilevare d’ufficio, in luogo del consumatore nella sua qualità di parte ricorrente, il carattere eventualmente abusivo di clausole contrattuali diverse da quella relativa al rischio di cambio, qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.

 

Notizia pubblicata il 20/09/2019 ore 17.09


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