Tassazione sui fondi comuni: solo briciole dal nuovo regime, di B. Scienza
Si riporta di seguito l’articolo di Beppe Scienza dal titolo "Tassazione sui fondi comuni: solo briciole dal nuovo regime", pubblicato su La Repubblica-Affari e Finanza del 21 marzo 2011. Per ulteriori informazioni e tabelle di confronto, consultare il sito www.beppescienza.it.
La conversione in legge del cosiddetto decreto Milleproroghe ha abolito la particolare tassazione dei fondi comuni di diritto italiano. Una modifica richiesta da tempo dalle società di gestione e spacciata come vantaggiosa in generale per risparmiatori. Peccato che non sia vero. Peccato anche che, come al solito, i loro pretesi difensori non abbiano battuto ciglio.
Bisogna sapere che dal luglio 1998 è in vigore per i fondi d’investimento una normativa specifica, studiata dall’allora ministro Vincenzo Visco per garantire ai risparmiatori un trattamento fiscale quanto più equo possibile. Questa è la realtà, questo dimostrano i numeri e conferma ciò il fatto che inizialmente gli stessi gestori si erano affrettati a presentarla (a ragione) come uno dei vantaggi del risparmio gestito rispetto al fai-da-te.
Da qualche anno hanno però scoperto che, enfatizzando su qualche esempio estremo, tale normativa poteva diventare il capro espiatorio su cui scaricare le colpe dei loro risultati deludenti e hanno iniziato una campagna contro di essa.
Nella sostanza il meccanismo è semplice. Se uno ha 100 euro in un fondo e questo in un certo periodo rende l’8%, il suo investimento netto non sale a 108 ma solo a 107, perché l’aliquota fiscale del 12,5% viene applicata in modo automatico. Analogamente con una perdita dell’8% non scende a 92 bensì solo a 93 euro, perché l’Erario gli riconosce subito il credito d’imposta sulla perdita, senza che rischi di non riuscire a recuperarlo, come spesso capita. In altri termini i debiti e i crediti fiscali vengono computati già prima che il risparmiatore disinvesta. Per questo si parla di tassazione sul maturato, contrapposta a quella sul realizzato che vale per azioni, reddito fisso ecc., come pure per fondi o simili di diritto estero.
Proprio questa sarebbe la profonda ingiustizia per i clienti dei fondi italiani, sanata solo ora. In effetti la nuova forma di tassazione, in vigore dal 1-7-2011, spesso cambierà pochissimo, in alcuni rari casi fortunati converrà ai risparmiatori e non di rado li danneggerà.
Dati sul passato. Merita calcolare l’incidenza dell’attuale sistema di tassazione, tanto vituperato, dalla sua introduzione a fine 2010. Se un meccanismo è pernicioso, nell’arco di 12 anni e mezzo lo si deve vedere. Invece si scopre che con la tassazione sul realizzato i clienti dei fondi comuni italiani avrebbero ottenuto mediamente uno 0,811% anziché lo 0,806% annuo netto. Ma un risparmio annuo dello 0,005% è impercettibile: su 100 mila sono pochi spiccioli (5 euro l’anno), a fronte per altro di costi e minus di gestione di migliaia di euro.
Per giunta ciò varrebbe in assenza di passaggi da un fondo a un altro, frequentissimi in particolare nelle costose e opache gestioni patrimoniali in fondi (gpf); e in tutti i casi di perdita il recupero del credito d’imposta spesso sarebbe andato perso.
Uno sguardo al futuro. Vogliamo essere ottimisti e ipotizzare per esempio un rendimento del 4% lordo composto per cinque anni o addirittura una performance complessiva dell’80% (!) in dieci anni (vedi tabella). Ebbene il vantaggio della nuova tassazione sul realizzato ammonterebbe a un irrisorio 0,03% o a un modestissimo 0,15% annui, numeri sempre molto inferiori ai minori rendimenti o maggiori perdite subiti dai clienti dei fondi comuni.
Altre ingiustizie. Fermo restando che la normativa in vigore per i fondi italiani era ottima (e alcuni problemi come i crediti cumulati si potevano risolvere senza buttarla a mare), altre sarebbero le iniquità fiscali da eliminare, bellamente ignorate dai tanti sedicenti paladini dei consumatori-risparmiatori. Ne possiamo citare due nell’ambito la previdenza integrativa. La prima riguarda chi riscuote il capitale finale, c.d. montante, di un fondo pensione con una perdita fiscalmente non recuperata, come è capitato a molti andati in pensione a fine 2008 o nel 2009. Ebbene, l’imposta relativa a tale perdita lui non la recupererà in nessun modo, perché non gli viene riconosciuto nessun credito.
La seconda tocca chi incassa il capitale a scadenza di una polizza vita, ottenendo meno di quanto versato. Anche a lui non viene neanche riconosciuto un credito d’imposta da scalare a fronte di guadagni successivi. La normativa specifica (Legge n. 482 del 26-9-1985) risale infatti alle polizze rivalutabili, non esposte al rischio di minusvalenze nominali, a meno di un crac della compagnia d’assicurazione. Ma da anni con le polizze index-linket o unit-linked le perdite sono frequenti.
In entrambi i casi è evidente l’ingiustizia rispetto a chi mette i propri risparmi in titoli di stato, azioni ecc. o anche in fondi o gestioni.