Rapporto Germanwatch su performance climatica: Italia sale in classifica
Anche quest’anno, nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso e contribuire a mantenere le emissioni globali ben al di sotto della soglia critica dei 2°C e tantomeno di 1.5°C, secondo quanto concordato lo scorso dicembre a Parigi. È quanto emerge dal rapporto annuale realizzato da Germanwatch e CAN-Europe, in collaborazione con Legambiente per l’Italia, e presentato a Marrakech durante la Conferenza sul Clima. Il Rapporto prende in considerazione la performance climatica di 58 Paesi, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali.
Nessun Paese si attesta, quindi, in una delle prime tre posizioni della classifica: al 4° posto, per la prima volta, si classifica la Francia, dopo l’8° dello scorso anno, grazie all’eccezionale ruolo svolto per il raggiungimento dell’Accordo di Parigi. Seguono Svezia e Regno Unito, che beneficiano delle politiche climatiche dei precedenti governi.
Il Marocco, in ottava posizione, continua il suo trend positivo, consolidando la sua leadership in Africa grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili e agli ambiziosi impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi per un Paese ancora in via di sviluppo, ossia la riduzione delle emissioni del 32% entro il 2030. Nella classifica del rapporto, trend positivi si segnalano anche tra le economie emergenti del G20 come India al 20° posto, Argentina al 36° e Brasile al 40°, che hanno dimostrato un importante passo in avanti rispetto al passato.
La Germania, dopo molti anni di leadership, continua invece il suo trend negativo retrocedendo al 29° posto. Secondo il Rapporto, questa discesa è dovuta alla quota ancora considerevole del carbone nel mix energetico nazionale, che non consente la necessaria riduzione delle emissioni indispensabile al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione entro il 2020 del 40% delle emissioni rispetto al 1990.
Nelle retrovie si posizionano Stati Uniti al 43° posto e Cina al 48°, Paesi considerati i principali responsabili delle emissioni globali. Gli USA sono indietreggiati in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti degli scorsi anni. Inoltre il rapporto, sottolinea Legambiente, non prende in considerazione l’impatto dell’elezione di Donald Trump sulle politiche climatiche statunitensi. Per quanto riguarda la Cina si sottolinea invece il suo importante ruolo nella riduzione del consumo globale di carbone, grazie alla chiusura lo scorso anno di 30 centrali a carbone.
Canada (55° posto), Australia (57°) e Giappone (60°) sono considerati dal Rapporto i peggiori tra i Paesi industrializzati, con politiche climatiche ed energetiche fortemente inadeguate rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Anche l’Italia fa un passo in avanti, rispetto allo scorso anno, passando dal 20° al 16° posto grazie alla considerevole riduzione delle sue emissioni (-19.8% nel 2014 rispetto al 1990, con una riduzione del 4.6% rispetto all’anno precedente). Il miglioramento è dovuto, secondo il rapporto, all’onda lunga degli investimenti degli anni precedenti nelle rinnovabili, arrestatasi poi nel 2014, per cui si attesta nella 22esima posizione della classifica specifica, e dal contributo dell’efficienza energetica (21° posto), combinato con la perdurante stagnazione economica.
Si registra, quindi, un trend positivo nonostante l’assenza di una politica climatica nazionale a livello degli altri partner europei, che relega l’Italia in fondo alla classifica specifica (44°) stilata dal rapporto per quanto riguarda le politiche nazionali. Secondo lo studio, l’assenza di politiche nazionali specifiche inizia a farsi sentire sempre più; infatti secondo i dati preliminari dell’Ispra, nel 2015 si è registrato un aumento delle emissioni totali del 2%, dovuto soprattutto alle emissioni del settore energetico che sono cresciute del 3%.
Alla luce dei dati raccolti, il Rapporto conferma anche quest’anno la continua crescita a livello globale delle rinnovabili e un ulteriore sviluppo dell’efficienza energetica a scapito soprattutto del carbone.
“Il rapporto evidenzia come i Paesi europei, rispetto al passato, stiano rallentando la loro performance climatica, mentre le economie emergenti si avvicinano sempre più. Serve subito un forte segnale dall’Europa, soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump, e a partire da Marrakech, dove deve riconquistarsi con i fatti la storica leadership ormai in declino”, ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni. “Abbiamo tutte le condizioni per poterlo fare. Rivedere l’attuale impegno di riduzione del 40% è possibile con un impatto positivo sull’economia europea, perché è ormai provato che l’azione climatica fa bene alla nostra economia. Dal 1990 al 2014 si è registrato un forte disaccoppiamento tra riduzione delle emissioni ed aumento del PIL e mentre le emissioni sono diminuite del 24%, il PIL europeo è invece aumentato del 47%. Una sfida che l’Europa e l’Italia possono e devono vincere per accelerare nella direzione dell’Accordo di Parigi e contribuire così a salvare il pianeta dai cambiamenti climatici”.