Enea e Fondazione Sviluppo Sostenibile: il “Green New Deal” parte dalle città
Un nuovo corso “verde” potrebbe partire dalle città e da una gestione sostenibile dell’ambiente urbano, che coinvolga la gestione della mobilità e quella dei rifiuti, la riqualificazione energetica, l’uso delle risorse idriche e la valorizzazione del patrimonio culturale, la riqualificazione delle aree degradate e il ricorso alle nuove tecnologie. Il “green new deal” potrebbe trovare proprio nelle città la spinta per un cambiamento verso modelli economici innovativi e sostenibili, se è vero che nelle città vive il 68 per cento della popolazione italiana. Questo uno dei principali spunti che emerge dal Rapporto sulla Green Economy 2013 “Un Green New Deal per l’Italia”, curato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e dall’ENEA.
Spiega Giovanni Lelli, Commissario ENEA: “La Green Economy può rappresentare la chiave di volta per avviare un nuovo ciclo di sviluppo all’insegna della sostenibilità e dell’innovazione tecnologica, con ricadute di lungo periodo che vanno dalla salvaguardia dell’ambiente al rilancio dell’industria e dell’occupazione. Una formidabile spinta propulsiva ad un New Deal legato alla Green Economy può venire da una nuova pianificazione urbana che faccia dell’eco-innovazione tecnologica e sistemica il fulcro della trasformazione delle nostre città per offrire una migliore qualità della vita ai cittadini ed un più sostenibile utilizzo delle risorse energetiche e non energetiche”. E, aggiunge il presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile Edo Ronchi, “durante una delle recessioni forse più lunghe e difficili degli ultimi decenni, investire per innovare, differenziare e convertire prodotti e processi produttivi in chiave sempre più green potrebbe essere una strada per rilanciare il nostro sviluppo. Un forte impulso in questa direzione può venire da concrete iniziative che possono partire , o essere rafforzate, dalle nostre città”.
Si può dunque partire dalle città come volano per lo sviluppo sostenibile: qui vive il 68 per cento della popolazione e nelle città si produce il media il 75 per cento dei rifiuti, mentre le abitazioni consumano dal 30 al 60 per cento in più di energia rispetto alla media europea.
Uno dei possibili settori di intervento è rappresentato proprio dai rifiuti: molti – quali quelli ingombranti o gli elettrodomestici – potrebbero essere riutilizzati. Una stima sui rifiuti che arrivano ai centri di raccolta di Roma valuta in diversi milioni di euro il valore di questi “beni-rifiuto” che possono essere reintrodotti sul mercato. Secondo l’ Enea circa il 48% dei rifiuti elettrici ed elettronici potrebbe essere riutilizzato con un valore di mercato di 45 milioni di euro. La raccolta differenziata però viaggia a macchia di leopardo: nelle grandi città si passa dal 51,1% di Verona al 6,4% di Messina. Quello che emerge è che dove le raccolte sono più alte è inferiore il costo di gestione dei rifiuti per ciascun cittadino: in un comune con una raccolta al 63% il costo annuo per abitante è di 116,14 euro, in uno con una raccolta al 26% di 224 euro.
Altro campo di applicazione del new deal è la mobilità urbana, dove la sostenibilità e il basso impatto ambientale sono ancora lontani, anche se cominciano a vedersi alcuni miglioramenti: Torino, Brescia, Parma, Milano sono al top della classifica stilata da Euromobility sulla mobilità sostenibile. Buon trasporto pubblico, car e bike sharing, tecnologie ICT (sistemi di trasporto intelligenti) hanno permesso di raggiungere questi risultati e Torino primeggia anche per un parco veicolare più ecologico della media italiana. Naturalmente resta ancora molto da fare: le metropolitane sono meno di 200 chilometri in solo 6 città (Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Catania); nei capoluoghi la densità delle piste ciclabili è pari mediamente al 6% di quella della viabilità per le auto; l’ Italia dopo Lussemburgo ha il primato in Europa di automobili; negli spostamenti in un raggio di 50km e superiori ai 5 minuti solo il 15% delle persone usa i mezzi pubblici.
Altro campo di intervento è rappresentato dall’energia. In realtà il capitolo dell’efficienza energetica è ancora aperto, se si considera che gli edifici italiani consumano il 30-60% in più della media degli edifici europei. Dall’ analisi quantitativa degli interventi emerge che solo il 20% del patrimonio edilizio è stato ristrutturato nei 12 anni di attività degli incentivi, di cui solo il 30% dedicato all’ efficienza energetica.