Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica di Germanwatch sulle performance climatica restano vuote: nessuno dei 56 paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme contribuiscono al 90% delle emissioni globali, ha messo in pratica azioni realmente efficaci per contrastare in maniera determinante i cambiamenti climatici e non superare la soglia critica di 1.5°C. Solo timidi passi avanti che però non riescono a rispondere all’urgenza climatica e che appaiono del tutto inadeguate a dare piena attuazione agli obiettivi di lungo termine fissati nell’Accordo di Parigi. I prossimi anni saranno cruciali per affrontare la sfida imposta dai cambiamenti climatici.

Il rapporto di Germanwatch sulla performance climatica dei principali paesi del mondo – realizzato in collaborazione con CAN e NewClimate Institute e per l’Italia con Legambiente-, è stato presentato questa mattina a Katowice, in Polonia, dov’è il corso la conferenza Onu sul clima.

Cominciando quindi dal quarto posto della classifica, si conferma la presenza della Svezia con un’ottima performance nella riduzione delle emissioni e una continua crescita delle rinnovabili, seguita dal Marocco che consolida la sua leadership tra i paesi in via di sviluppo grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili e a un’ambiziosa politica climatica. Tra i paesi emergenti, l’India ha fatto un importante passo in avanti posizionandosi all’11° posto, grazie ad una buona performance climatica dovuta alle basse emissioni pro-capite e al considerevole sviluppo delle rinnovabili.

Perde sette posizioni, invece, l’Italia che scende al 23esimo posto rispetto al 16esimo dello scorso anno. Risultato raggiunto, nonostante una buona performance nell’uso di energia, per il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili e soprattutto per l’assenza di una politica climatica nazionale (28a posizione) adeguata agli obiettivi di Parigi. Le emissioni nel 2017 sono diminuite, infatti, di appena lo 0.3% rispetto all’anno precedente con una riduzione solo del 17.7% rispetto al 1990.

Il rapporto di Germanwatch misura le performance dei vari paesi attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.

In questo contesto, l’Unione europea nel suo complesso fa un piccolo passo in avanti posizionandosi al 16° posto, rispetto al 21° dello scorso anno, grazie ad una politica climatica, più avanzata rispetto a quella degli altri grandi leader mondiali, che ha l’obiettivo di raggiungere entro il 2050 zero emissioni nette.

La Germania, invece, conferma il suo trend negativo posizionandosi al 27° posto. Performance dovuta alla quota ancora considerevole del carbone nel mix energetico nazionale, senza ancora una decisione sul suo phasing-out, ed all’assenza di una strategia per la decarbonizzazione dei trasporti.

I prossimi 12 anni, come evidenzia l’Emissions Gap Report appena pubblicato da UN-Environment, saranno cruciali. Per non superare la soglia critica di 1.5°C le emissioni globali devono essere dimezzate entro il 2030 rispetto al livello registrato nel 2017.

“L’impegno dell’Europa, seppur positivo, non è ancora sufficiente”, continua Zanchini. “È necessaria una Strategia climatica di lungo termine in grado di accelerare una giusta transizione verso un futuro rinnovabile e libero da fonti fossili. Primo passo in questa direzione è l’aumento dell’attuale target europeo del 40% al 2030. In Europa ci sono tutte le condizioni per sfruttare appieno le nostre potenzialità economiche imprenditoriali e tecnologiche andando ben oltre il 55% di riduzione delle emissioni entro il 2030, proposto già da diversi governi europei e dall’Europarlamento, in modo da poter raggiungere zero emissioni nette entro il 2040”.

Tornando alla classifica del Germanwatch, c’è da evidenziare che per la prima volta la Cina lascia le retrovie e raggiunge il centro della classifica posizionandosi al 33° posto, grazie ad una politica climatica più incisiva, che ha adottato norme più stringenti per la riduzione delle emissioni nei settori industriale ed abitativo, e all’introduzione di un efficace regime di sostegno delle rinnovabili.

In fondo alla classifica si posizionano l’Arabia Saudita (60) e gli Stati Uniti (59). Con Trump gli USA sono indietreggiati in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti degli scorsi anni. Tuttavia segnali positivi giungono dall’inedita Alleanza per il Clima – oltre tremila tra stati, città, imprese nazionali e multinazionali, università e college –  che sta lavorando per mantenere gli impegni assunti a Parigi attraverso un’azione congiunta che bypassa l’amministrazione federale.

 

Notizia pubblicata il 10/12/2018 ore 17.32


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