La ricerca sulle buste per la spesa conferma che solo i sacchetti biodegradabili e compostabili si decompongono in mare entro tre mesi, se dispersi nell’ambiente per effetto di cattive abitudini che certo non devono essere legittimate solo perché c’è biodegradabilità. È il commento di Assobioplastiche, che interviene in questo modo sui risultati dello studio fatto dall’Università di Plymouth sulle buste di plastica – di diversi materiali – e sulla loro permanenza nell’ambiente.

“Contrariamente a quanto riportato da alcune testate”, dice l’Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili, lo studio “ci dice che solo il sacchetto biodegradabile e compostabile – progettato per essere gestito nel circuito della raccolta dell’umido in appositi impianti industriali – anche se erroneamente disperso nell’ambiente per effetto di cattive abitudini (littering), va incontro a totale decomposizione in ambiente marino in soli tre mesi e presenta un impatto ambientale ridotto”.

L’indagine ha esaminato un sacchetto in polietilene alta densità, due sacchetti oxo-degradabili, un sacchetto con sopra apposta la parola “biodegradable” e, infine, un sacchetto biodegradabile e compostabile. Per Assobioplastiche “non dice nulla di nuovo” ma “conferma che è scorretto utilizzare il termine “biodegradabile” rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili). Gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall’AGCM (Direzione Tutela del Consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all’epoca utilizzati da alcune insegne della GDO”.

I risultati dello studio, insomma, non sorprendono chi si occupa di chimica dei polimeri e di biodegradazione ma rischia di veicolare un messaggio scorretto, dice Assobioplastiche, che “ritiene inaccettabile che uno studio che conferma un’ulteriore distinzione netta tra materiali in termini di proprietà di biodegradazione e corretta utilizzabilità di tale caratteristica venga strumentalizzato per comunicare un messaggio scorretto. La soluzione non è la biodegradazione in quanto tale (che comunque i sacchetti in bioplastica compostabile possiedono a differenza degli altri), quanto la ricerca e l’applicazione di modelli di corretta gestione dei rifiuti organici, di cui l’Italia è esempio virtuoso. La biodegradabilità insomma, come lo studio lascia presumere, non deve essere mai vista come una più comoda soluzione o una scusa per la disseminazione incontrollata nell’ambiente (che porterebbe al paradosso di legittimare ad esempio il littering degli scarti e residui organici in mare, in quanto biodegradabili)”.


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