Abitare la montagna, Legambiente: “La riqualificazione degli edifici gioca un ruolo chiave”

La montagna da meta turistica a luogo in cui abitare, ma anche protagonista del desolante problema del costruito abbandonato: questi i temi del dossier di primavera di Legambiente dal titolo “Abitare la montagna nel post covid”.

Il censimento degli edifici fatiscenti, presenti nelle aree montane della Penisola, rappresenta il cuore di questo report, che analizza 66 strutture, abbandonate ad uno stato di degrado, che – afferma l’associazione – necessitano di una strategia mirata: edifici legati all’industria dello sci, ma anche hotel, colonie e caserme di confine, lasciati senza una prospettiva.

Abitare la montagna, le cause dell’abbandono e le strategie di recupero

Legambiente spiega quali sono le cause dell’abbandono delle strutture in montagna. Tra le più frequenti: il cambiamento della domanda turistica per assenza di neve, la necessità di ingenti reinvestimenti di ammodernamento, mancati adeguamenti tecnici, scelte imponderate rispetto ai flussi turistici, speculazioni di basso cabotaggio.

Di fronte a questa situazione l’associazione ambientalista vuole stimolare, dunque, una riflessione e un dibattito sul futuro di questi edifici, al fine di individuare le soluzioni più adeguate: queste vanno, a seconda dei casi, dalla demolizione al riuso innovativo.

“Privilegiare la riqualificazione del costruito esistente – spiega Legambiente – può, infatti, acquistare un importante significato in un contesto post pandemico in cui si manifesta proprio uno slancio del mercato immobiliare in montagna, con il rischio, però, che possa di pari passo ricominciare a crescere anche il consumo di suolo, che invece dovrebbe essere azzerato”.

 

abitare la montagna

 

Infatti, secondo i dati del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), in Italia il consumo del suolo continua a crescere e riguarda anche ambiti montani di pericolosità per frane e alluvioni, le aree protette, le sponde dei corpi idrici, le valli dove il suolo è più fertile. Il triste primato è detenuto, per le aree oltre i 600 metri di altitudine, dal Trentino-Alto Adige, che nel 2019 ha consumato ben 54 ettari in più rispetto al 2018.

Il mercato immobiliare sulle alpi

Secondo focus del dossier è proprio “Il mercato immobiliare sulle alpi: tra turismo e smart working”, con cui Legambiente mette sotto la lente di ingrandimento 303 località alpine italiane, dalla maggiore vocazione turistica o più colpite dallo spopolamento, incrociando gli ultimi dati Istat disponibili per tracciare un quadro del costruito in alta quota ed in particolare il fenomeno delle seconde case.

Infatti, se fino al periodo pre pandemico le seconde case non erano vissute se non per qualche giorno all’anno e per determinati periodi festivi, sovraccaricando infrastrutture e servizi, la diffusione dello smart working sta cambiando le modalità di utilizzo, influendo anche su alcune dinamiche sociali e economiche.

Un dibattito ampio, che – per Legambiente – impone di pensare ad una nuova dimensione urbanistica della montagna.

“Attraverso questo report vogliamo rilanciare il dibattito sul vivere in montagna — ha commentato Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente —. Proprio la ricerca di soluzioni e prospettive future di questo costruito pensiamo possa giocare un ruolo chiave nell’arrestare il crescente consumo di suolo in montagna. Ma c’è di più: il riuso funzionale di queste ampie volumetrie può costituire un’occasione straordinaria per ripensare l’organizzazione delle comunità in un’ottica di sostenibilità e di sviluppo”.


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