Spreco alimentare, la doggy bag ci salverà? (Foto di StockSnap da Pixabay)

Una doggy bag contro lo spreco alimentare al ristorante? In Italia la richiesta di un contenitore per portare a casa quello che rimane dal pasto al ristorante è poco diffusa (secondo recenti indagini solo il 15,5% degli italiani porta a casa il cibo non consumato al ristorante) ma di sicuro c’è una crescente attenzione al tema degli sprechi alimentari. Non a caso ricorre oggi la Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, anticipata nei giorni scorsi dai nuovi dati dell’Osservatorio Waste Watcher – gli italiani sprecherebbero a livello domestico quasi 81 grammi di cibo al giorno, 566 grammi a settimana, con dati che parlano di una nuova crescita dello spreco alimentare.

Ma per agire in modo ampio contro lo spreco alimentare anche fuori casa, all’inizio dell’anno è stato presentato un disegno di legge che prevede di introdurre l’obbligo di fornire ai clienti dei ristoranti un contenitore usa e getta in cui mettere gli avanzi del cibo che il cliente non ha consumato per portarlo a casa. La doggy bag in lingua inglese. Ma come accoglierebbero i consumatori una proposta del genere?

Doggy bag, Altroconsumo: favorevoli 9 su 10

Si può anticipare che le valutazioni sono diverse. Come spiega un’analisi di Altroconsumo, la doggy bag “potrebbe presto diventare obbligatoria secondo una proposta di legge presentata di recente, che introduce l’obbligo di informare i clienti della possibilità di portare a casa il cibo avanzato e di soddisfare coloro che fanno richiesta della doggy bag, per evitare di gettare nell’immondizia ciò che non viene consumato. L’obiettivo? Ridurre lo spreco alimentare quando mangiamo fuori casa”.

Altroconsumo ha coinvolto in un’indagine i consumatori iscritti alla community ACmakers. Alla domanda sul perché avanzi cibo al ristorante gli intervistati fanno riferimento a porzioni “troppo abbondanti” oppure al fatto che vengano portati a casa  i piatti che i bambini non finiscono o le pietanze ordinate in eccesso. Secondo gli ACmakers la pizza è l’alimento più gettonato per la doggy bag (segnalato quasi dalla metà di chi ha risposto), seguito dalla carne (1 su 3) e, a distanza, da un primo piatto. Meno successo ha la doggy bag delle bevande: solo 3 persone su 10 dicono di aver fatto questa esperienza.

Ma la doggy bag dovrebbe diventare obbligatoria per legge? “Favorevoli all’introduzione della relativa norma sono più di 9 intervistati su 10 – spiega Altroconsumo – E pur di ridurre lo spreco di cibo e bevande, più della metà dei rispondenti sarebbe disposto a portarsi i contenitori da casa, opzione a cui sarebbe favorevole 1/3 dei rispondenti, anche se di fatto non la ritiene una soluzione fattibile o frequente. Infine, la sensibilità degli intervistati contro lo spreco alimentare emerge anche nei commenti liberi nel questionario: la doggy bag viene considerata, infatti, un’ottima soluzione non solo – e non tanto – per una ragione economica, ma soprattutto etica”.

Secondo l’associazione, circa otto intervistati su dieci hanno dichiarato di aver fatto uso della doggy bag ma “un terzo si è vergognato a chiederla: un aspetto questo che ha spesso limitato (anche se in passato più di oggi) una buona abitudine e che va piano piano scardinato. Basti pensare che in alcuni paesi, per esempio negli Stati Uniti, domandare la borsetta degli avanzi è una richiesta normale, capillare e consolidata, pur non essendoci una vera e propria legge e alcun obbligo per i ristoratori”.

Più di 9 persone su 10 hanno dichiarato di essere favorevoli a una legge che obblighi i ristoratori a fornire la doggy bag a chi lo chiede.

“Chi è contrario dice che questa soluzione non risolverebbe lo spreco – spiega Altroconsumo – Segue il fatto che sarebbe un onere per il ristoratore e che causerebbe altri rifiuti. Infine per alcuni non c’è bisogno di una norma, in quanto è già uno stato di fatto e non è necessario normare tutto. Più perplessi lascia la possibilità contenuta nella norma in discussione di portare da casa i propri contenitori per trasportare il cibo avanzato. Poco più della metà delle persone è favorevole a questa soluzione mentre un terzo sarebbe favorevole, ma non pensa che si tratti di una soluzione fattibile e frequente”.

Dona: “La strana idea di una legge sulla doggy bag”

La legge sulla doggy bag sarebbe “inutile e forse anche dannosa”, ha scritto invece sulla newsletter dell’associazione Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, con un titolo eloquente: La strana idea di una legge sulla “doggy bag”.

In Italia, scrive Dona, «il diritto di portare a casa gli avanzi è già un diritto riconosciuto al consumatore dai principi generali dell’ordinamento per cui se acquisti una pietanza hai tutto il diritto di portarla via se non riesci a consumarla sul posto! Al giorno d’oggi non ho mai sentito di un ristoratore che neghi al consumatore questa possibilità. Al più, se previsto nel menu, si può addebitare giustamente al cliente il costo della vaschetta, niente di più. Ed invece questa legge rischia di aggravare ulteriormente il carico di lavoro dei ristoratori che dovranno (pena una multa) mettere a disposizione confezioni sostenibili che andranno conservate da qualche parte».

Fipe: solo il 15,5% degli italiani porta a casa il cibo

Tornando al punto di partenza: sul ricorso al contenitore per gli avanzi sembra esserci molto da fare.

Solo il 15,5% degli italiani porta a casa il cibo non consumato durante un pranzo o una cena al ristorante anche se quasi la totalità dei ristoratori (91,8%) è attrezzata per consentirlo. E questa percentuale scende all’11,8% per il vino. A dirlo una recente indagine di Fipe-Confcommercio e Comieco che aggiungono: “Segnali di cambiamento, questi, ancora troppo timidi in un’epoca in cui l’attenzione agli sprechi, soprattutto alimentari, è sempre più alta e il 36% della spesa delle famiglie per prodotti alimentari transita fuori casa”.

Secondo un ristoratore su due, il basso numero di richieste può essere spiegato da un certo imbarazzo del cliente a richiedere di portare via gli avanzi. Fra le ragioni che spiegherebbero la riluttanza dei consumatori ci sono anche la scomodità (19,5%) e l’indifferenza (18,3%).


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