Una volta cibo esclusivo ora è diventato comune sulle nostre tavole. Merito del calo dei prezzi e della fama di superfood a cui, però fa da contraltare il dubbio di frodi e contaminazioni. Il rapporto del salmone con il nostro frigorifero è cambiato in modo radicale negli ultimi venti anni. Lo acquistiamo fresco ma soprattutto affumicato.

Il Salvagente ha scelto 10 campioni di questo alimento, acquistati in supermercati e discount, e li ha portati in laboratorio alla ricerca di Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici che si sviluppano con l’affumicatura). Ulteriori analisi sono state fatte per verificare la sicurezza delle fette per escludere contaminazioni dovute a una scarsa igiene nella fase di produzione e stoccaggio. È stata quindi valutata la quantità di mercurio ed è stata misurata la concentrazione di coloranti, in particolar modo la astaxantina che nella formula sintetica è utilizzata per donare ai salmoni di allevamento il classico colore rosa che altrimenti non avrebbero.

Dopo tutte questi esami è arrivata la prova del nove: l’organolettica, affidata a un panel di assaggiatori esperti.

In generale, i risultati del test non hanno deluso (la ricerca completa si può leggere sul numero di dicembre della rivista, acquistabile in edicola) e quelli che ci apprestiamo a portare in tavola per le vacanze di Natale (e non solo) sono davvero dei prodotti di qualità.

Qualità a parte, però, quando parliamo di salmone non possiamo non affrontare la questione relativa alla sostenibilità delle produzioni. I salmoni sono carnivori e per nutrirli si sono utilizzati per anni quasi esclusivamente farine e olio di pesce, creando un circolo vizioso: allevare pesce da darlo in pasto ad altro pesce da allevamento. Solo ultimamente si cominciano a introdurre nella dieta del salmone atlantico (il più utilizzato anche nel nostro paese) anche proteine vegetali, che tuttavia – almeno per ora – non sostituiscono al 100% quelle animali. Per ottenere carni “color salmone” come piacciono al mercato, gli allevatori aggiungono poi carotenoidi al mangime.

La fama di superfood? Immeritata. “Gli Omega 3 del pesce”, spiega il nutrizionista Andrea Ghiselli, “da non confondere con quelli dei vegetali, sono acidi grassi polinsaturi a lunga catena (25 e 26 atomi di carbonio) ed esercitano un’azione protettiva su molti fronti: sono essenziali per il corretto sviluppo delle membrane, soprattutto del sistema nervoso centrale, e sono importanti per la salute di cuore e delle arterie. Hanno però ricevuto un’enfasi forse eccessiva, che ha portato, spesso con troppa faciloneria, a ricorrere alla supplementazione anche in soggetti sani ben nutriti, che non ne avrebbero bisogno. Le quantità necessarie sono molto piccole e il consumo di due o tre porzioni di pesce a settimana, variando tra i prodotti, insieme a una adeguata assunzione di fonti vegetali di Omega 3, è più che sufficiente a garantire l’apporto necessario. Ricordiamo che i grassi del pesce, pur presenti in una certa quantità anche nelle carni, sono principalmente depositati nel sottocutaneo, per cui per aumentarne l’apporto sono preziosi quelle specie di piccola taglia che si consumano con tutta la pelle come sarde, acciughe, sgombri ecc.”.


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