Sconfiggere la fame, migliorare la nutrizione, raggiungere un’agricoltura sostenibile: si può fare, passi in avanti sono stati fatti anche nel nostro paese, ma non basta. L’Italia si muove fra progressi e ritardi nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità al 2030 previsti dall’Onu. Segno verde per il secondo obiettivo, la lotta alla fame, ma con qualche distinguo legato alla necessità di dare una sferzata e aumentare sensibilmente l’impegno in questa direzione.

L’Italia ha sottoscritto, il 25 settembre del 2015, l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che fissa 17 obiettivi generali (Sustenaible Development Goals-SDGs) che tutti i paesi del mondo dovranno raggiungere. Deve però cambiare radicalmente il proprio modello di sviluppo se vuole centrare davvero questo obiettivi, ha denunciato l’AsVis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. Il secondo obiettivo è quello di “Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile”. Al centro dell’impegno c’è la disponibilità di cibo per tutti, sicuro e di qualità, nonché il miglioramento della nutrizione nel senso di un corretto stile alimentare e la promozione di un’agricoltura sostenibile. E l’Italia come si sta comportando? Bene, ma potrebbe fare di più.

Quando si parla di porre fine alla fame, il problema da affrontare in Italia è strettamente collegato alla povertà. Quante sono le persone in situazione di povertà alimentare in Italia, cioè che non possono accedere ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti tali da garantire una vita sana? Nel complesso – stima AsVis sulla base dei dati disponibili – sono oltre 1 mln 700 mila famiglie, quasi 5 milioni e mezzo di persone, il 9,1% dei residenti in Italia. E di questi, dato allarmante, oltre un milione sono minori.

Sull’altro versante ci sono il tema dello spreco alimentare e della cattiva alimentazione. Ogni anno in Italia finiscono nella spazzatura dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari.  Mentre, nonostante la dieta mediterranea, c’è una percentuale alta di bambini in eccesso di peso – secondo l’Istat, il 26,9% dei bambini e ragazzi italiani.

In questo contesto generale, per il secondo target al 2030 la situazione in Italia “migliora sensibilmente” ma con dei distinguo. Dice l’AsVis: “L’assenza di interventi relativi ai Target riguardanti la nutrizione, l’applicazione di pratiche agricole resilienti che aiutino ad aumentare la produttività e la conservazione degli ecosistemi e la diversità genetica di piante e animali, mostra come siano ancora diversi gli ambiti di intervento che necessiterebbero di maggiore attenzione. Inoltre, se da una parte l’agricoltura italiana continua a raggiungere risultati positivi in termini di eco-efficienza, permangono i fenomeni di sfruttamento del lavoro e di evasione fiscale, del tutto incompatibili con un concetto di sviluppo sostenibile che consideri anche la dimensione sociale”.

Si è intervenuti sulla sicurezza alimentare mentre tre sono stati gli interventi in tema di agricoltura. Da segnalare, sottolinea il Rapporto curato dall’Alleanza, la legge per la lotta al caporalato e al lavoro nero in agricoltura (legge 199/2016). “Il provvedimento tenta di porre un freno alle infiltrazioni mafiose nella gestione del mercato del lavoro che attraverso la pratica del caporalato, così come indicato dal terzo Rapporto Agromafie e Caporalato della FLAI-CGIL, muovono in Italia un’economia illegale e sommersa che si aggira intorno ai 12,5 miliardi di euroevidenzia il Rapporto AsVis – La Legge introduce maggiori garanzie per la tutela della dignità dei lavoratori agricoli, prevedendo anche la possibilità di un risarcimento. Oltre agli intermediari illegali, saranno sanzionabili, anche con la confisca dei beni, i datori di lavoro consapevoli dell’origine dello sfruttamento”.

Sul tema della nutrizione, invece, la disponibilità della “dieta mediterranea” non mette al riparo l’Italia dagli effetti di un’alimentazione scorretta. Se si va a guardare l’aderenza alla dieta mediterranea, il confronto fra il triennio 1990/1992 e il 2009/2011 “evidenzia un peggioramento della situazione in Italia, a testimonianza di un’evidente e negativa omologazione dei regimi alimentari, agevolata da un più facile accesso a cibi trasformati, zuccheri e grassi raffinati, olii e carni, e degli stili di consumo improntati a un aumento dei pasti fuori casa e all’utilizzazione di cibi preconfezionati. Queste informazioni mostrano la necessità di orientare i consumatori a modelli alimentari e stili di vita più sani con azioni di educazione alimentare”. Anche nella patria del buon cibo, insomma, c’è ancora da lavorare perchè i cittadini sappiano “mangiar sano”.

 

 

@sabrybergamini

 

Notizia pubblicata il 03/20/2017 ore 17.17


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