Italiani spreconi? Sì, ma in misura…fisiologica
Italiani spreconi di cibo. Sì, ma quanto? Ogni volta che si vuole fare il punto sulla quantità di cibo che settimanalmente gli italiani destinano all’immondizia, si parla di un valore che si attesta al 30% della spesa alimentare. Vero? Sembra, piuttosto, una bufala bella e buona e a spiegarne il motivo ci ha pensato Roberto La Pira sul sito che cura, Ilfattoalimentare.it, spiegando che “basta riflettere sul dato qualche minuto per rendersi conto che le cifre non tornano”.Non tornano perché alla base c’è uno scambio di ‘persona’. Per farla breve La Pira spiega che il dato (quello del 30%) viene attribuito in maniera errata ad una ricerca condotta da Last minute market che, invece, non esprime giudizi sul dato numerico.
L’origine di tutto – aggiunge La Pira – è una ricerca firmata dall’Adoc, realizzata intervistando telefonicamente o via mail i suoi iscritti e rilanciata da La Repubblica il 25 ottobre del 2010, dove per la prima volta si sostiene che il 30% della spesa finisce nella pattumiera. Questa indagine è priva di validità scientifica, non distingue i nuclei familiari per area geografica e non rappresenta un campione valido di intervistati.
Dato molto più attendibile quello che emerge dal dossier “Consumi e distribuzione”, presentato pochi giorni fa dalla Coop che sull’argomento sprechi domestici cita un’indagine condotta dalla Fondazione Sussidiarietà insieme a Marco Melacini, Paola Garrone e Alessandro Perego del Politecnico di Milano nella primavera del 2012 con in contributo del Gruppo Nestlé. Lo studio stima uno spreco domestico intorno all’8% della spesa alimentare settimanale, per un valore di quasi 7 miliardi di euro l’anno.
Certo in questo modo – afferma La Pira – la notizia dello spreco si ammoscia un po’ e i titoli sui giornali risultano meno avvincenti, ma il dato della ricerca è attendibile perchè ottenuto dopo avere intervistato 10 esperti, analizzato 124 studi sul problema e consultato un panel di 6.000 nuclei familiari monitorati dalla Nielsen. Il valore dell’8% è uno dei tanti dati pubblicati in uno studio che esamina seriamente il problema nei diversi stadi della filiera (produzione agricola, trasformazione industriale e distribuzione), evidenziando come picco di avanzi quello della ristorazione collettiva (10%).
Le cause che generano eccedenza sono molteplici, nelle aziende, per esempio, sono principalmente il raggiungimento della data di scadenza del prodotto, la presenza di difetti estetici, problemi di packaging, resi per invenduto.
Uno spreco dell’8% si può considerare fisiologico dicono gli esperti, ma il consumatore può svolgere un ruolo importante per ridurlo, ma già adesso molte famiglie ogni giorno reinventano i menu per recuperare avanzi ed eccedenze. Un primo impegno consiste nel lasciarsi influenzare meno dalle promozioni e nello scegliere in modo più accurato i formati. È anche valutare con attenzione la data impressa sui prodotti, spesso considerata erroneamente una scadenza improcrastinabile.
Ottimo. Mi ero spesso domandato se fosse vero. Fra la nostra cerchia di amici e conoscenti non abbiamo nessuno che ha questi livelli di sprechi.
La valutazione che facevamo era nell’ordine del 1/2 %.