Riccardo Quintili, direttore del settimanale Il Salvagente, in edicola domani,  interviene sulla chiusura dell’Inran decisa dal Governo: “Perché si rinuncia all’esperienza dell’Inran? E perché non si è scelto di portarlo nell’Iss e di riconoscergli un ruolo per la salute dei consumatori anziché quello di strumento per i produttori?” scrive. Ecco il testo integrale del suo editoriale che anticipiamo oggi per i nostri lettori.
“L’equivoco, a nostro giudizio, è di fondo e viene da lontano. Ed è quello che la salubrità dei cibi, gli errori della dieta, o magari anche i benefici che possono provenire da un gruppo di alimenti, siano di competenza di un ministero che ha nei suoi “fondamentali” la tutela e la promozione delle politiche agricole.
Un vecchio equivoco, che per anni ha mescolato le carte provocando in quest paese inversioni di ruoli al limite della schizofrenia tra i dicasteri della Salute e quelli dell’Agricoltura. Tutti ricordiamo, ad esempio, le dichiarazioni di chiusura netta agli Ogm di Pecoraro Scanio o di Alemanno (entrambi titolari dell’Agricoltura) e quelle invece molto più favorevoli alle potenzialità del biotech per l’agricoltura di Sirchia e Veronesi (loro, sì, ministri della Salute).
Solo partendo dalla cronica confusione tra politica agricola e salute dei consumatori si può tentare di comprendere l’errore di chi ha deciso (o di chi, come il ministro Catania, ha fatto poco per evitare) la chiusura dell’Inran, l’Istituto che fa ricerca sui cibi, tanto per capirci, quello che ha condotto le campagne (e gli studi per supportarle) sull’educazione alimentare degli italiani.
E di decidere l’accorpamento dell’Inran al Cra, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura che si occupa, tra l’altro, di ingegneria agraria, climatologia, pedologia (lo studio dei terreni). Ruoli meritori, senza alcun dubbio, per l’evoluzione della nostra agricoltura, per la sua redditività, ma che sarebbe più giusto considerare antitetici nella ricerca libera sulla salubrità degli alimenti.
Lo abbiamo detto già nelle settimane scorse, ma vale la pena ribardirlo: da oggi in poi chi ci toglierà dalla testa che uno studio sui benefici nutrizionali dell’olio d’oliva o una ricerca sulle virtù del grano italiano non nascano dagli interessi (legittimi, per carità) dell’agroindustria tricolore?
L’ombra del conflitto di interessi, si sarebbe detto in altra epoca, si stenderà inevitabilmente sull’esperto di turno che ci dovesse consigliare di consumare più frutta e verdura…
A nostro avviso una soluzione si può ancora trovare, ma va cercata con serietà. Basterebbe a salvaguardare la professionalità di scienziati che sono una risorsa di questo paese e la credibilità di un ente come l’Inran, ma avrebbe bisogno di un atto di umiltà politica. Si vuole accorpare l’Inran a qualche ente esistente per risparmiare?
Bene, lo si porti sotto l’Istituto superiore di sanità, dandogli atto di un lavoro a vantaggio dei consumatori italiani. Anche quando questo possa andare a scapito degli agricoltori”.
di Riccardo Quintili, direttore de Il Salvagente
 


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