Buono e nutriente, tanto, e per certi versi anche più, di quello vaccino, il latte di capra, sta conquistando fasce sempre più ampie di consumatori che lo introducono nella loro dieta perchè ricco di nutrienti, più digeribile e tollerato anche da soggetti intolleranti. Tuttavia, allo stato attuale la produzione nazionale di questo alimento e la sua trasformazione in prodotti derivati, appare notevolmente sottodimensionata rispetto alle esigenze dimostrate dal mercato. Ultimi anche quando si tratta di bere soltanto un bicchiere di latte, verrebbe da pensare. In effetti, osservando la produzione di latte caprino in Europa, l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica con appena 115.000 tonnellate, a fronte delle 657 della Francia o delle 540 della Spagna. Eppure, la richiesta di prodotto da parte del mercato c’è ed è supportata da sempre maggiori evidenze scientifiche che lo definiscono un’ottima alternativa al latte vaccino. Vi sono dunque degli spiragli di sviluppo di questo settore che un’efficace partnership tra ricerca e imprese potrebbero potenziare.
La sinergia avviata tra il C.R.A. (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) e Amalattea, azienda leader nella produzione di latte caprino, ha dato vita ad un patto di collaborazione con l’obiettivo di valorizzare il latte di capra, promuoverne i prodotti e stimolare la produttività del settore primario. “Vogliamo avviare un epocale processo di sviluppo della filiera caprina attraverso la creazione di una rete tra imprenditori e allevatori che migliori la qualità del prodotto offerto al consumatore”, dice Maurizio Sperati, Amministratore delegato di Amalattea. Il progetto si basa sulla creazione di un allevamento di 1000 capre presso la sede del CRA di Foggia, dove verrà implementato un piano genetico per il rafforzamento e l’ammodernamento della produzione nazionale del latte di capra.
Il protocollo d’intesa prevede la definizione di un documento che specifica le azioni da portare avanti, la tempistica e gli attori coinvolti, nonché i costi relativi alla realizzazione di altri allevamenti pilota in diverse zone del Paese. “È una sfida ambiziosa ma realistica che potrà andare a regime nell’arco di cinque anni. Con un appropriato investimento inziale, si potranno avere ritorni benefici sull’intera filiera”, spiega il Dott. Riccardo Aleandri del Dipartimento di biologia e produzioni CRA. L’espansione della produzione del latte caprino, avendo come obiettivo quello di una progressiva riduzione della materia prima importata, fino al raggiungimento dell’autosufficienza potrebbe eventualmente risolvere anche un altro problema del settore lattiero-caseario, quello della chiusura di diversi allevamenti.
Tra il 2000 e il 2010 infatti circa il 28% degli allevamenti bovini e il 49% di quelli ovi-caprini ha cessato la sua attività, determinando un considerevole calo della produzione nazionale. La soluzione potrebbe venire dal subentro in imprese agricole da parte dei giovani. Il progetto, portato avanti da Ismea, favorisce il ricambio generazionale in aziende agricole e si rivolge ai giovani tra i 18 e i 39 anni. Ad oggi, sono 10.000 le aziende che sono state “risanate” attraverso questa modalità che permette di avere una riduzione del tasso di interesse al 1,08% in 15 anni per gli interventi di miglioramento strutturale dell’azienda al fine di renderla competitiva sul mercato. Ricerca, imprenditorialità e giovani dunque come chiavi per una futura rivalutazione del latte di capra sul mercato nazionale.
Di Elena Leoparco


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