“Il grano è morto”: ad annunciarlo oltre 600 agricoltori, con tanto di bara, marcia funebre e corteo di oltre 100 trattori che si sono dati appuntamento al casello A1 Valdichiana-Bettolle, Siena. L’estremo e simbolico saluto al grano italiano è promosso da Confagricoltura, Confederazione italiana agricoltori (CIA), Associazione provinciale imprese di meccanizzazione agricola (A.P.I.M.A.) e Cooperative. Coinvolti gli agricoltori di Toscana, Umbria, Abruzzo e Lazio. “La protesta è nata dal basso, su esigenza degli agricoltori”, spiega Luca Ginestrini vicedirettore di Confagricoltura Arezzo, “dopo il crollo dei prezzi dei cereali e del grano in particolare, che si è visto dimezzare il suo valore da 30 a 15 euro al quintale. In pratica gli stessi prezzi praticati negli anni del secolo scorso, quando un quintale di grano veniva pagato 30mila lire, i 15 euro di oggi. Nel frattempo però i costi di produzione sono lievitati e, come si può immaginare, non vengono coperti dai ricavi. Oggi, cento chili di grano valgono meno di qualche chilo di pane”. “Vogliamo misure urgenti e concrete per difendere sia la cerealicoltura italiana, sia i consumatori finali”, aggiunge Ginestrini. “I produttori di grano continuano ad essere oggetto di un’azione speculativa senza precedenti. Le aziende sono fortemente indebitate e minacciano lo stop delle semine. Rivendichiamo il giusto valore al prodotto Made in Italy e la valorizzazione delle filiere virtuose e della loro completa tracciabilità, dall’approvvigionamento delle materie prime fino all’etichettatura finale. Le potenzialità del comparto sono tante e bisogna esaltarle a vantaggio di tutta la filiera”. Già, perché secondo le associazioni di categoria, in tutta la filiera di grano e pasta c’è spazio per il 100% italiano. Da qui la richiesta di tracciabilità e indicazione dell’origine del frumento duro. Secondo Confagricoltura, la valorizzazione dell’origine del grano duro, come ingrediente primario della pasta, è un’esigenza largamente condivisa dalla componente agricola della filiera, che trova disponibile anche parte dell’industria molitoria, convinta che ci possa essere spazio per valorizzare semola e farina di grano duro “100% Italiano”. “Meno disponibili i pastifici che, in un’ottica di mercato globale, sempre più spesso giovano delle importazioni massicce ed economicamente più convenienti, di grano da Paesi come l’Ucraina e la Turchia”, dice Ginestrini. A crescere è anche l’acquisto di grano dal Canada, più caro, ma dal contenuto proteico abbastanza alto da garantire comunque un guadagno maggiore per l’industria. “Ciò come se il grano italiano non fosse di qualità. Sfatiamo questo mito”, continua Ginestrini. Insomma, anche i pastifici potrebbero produrre proprie linee di pasta con grano duro “100% Italiano” se tale prodotto fosse poi adeguatamente valorizzato dalla Gdo presso il consumatore finale. “L’obiettivo è dunque quello di fare in modo che l’attestazione dell’origine italiana attribuisca al grano duro più valore aggiunto mantenendolo nei vari passaggi all’interno della filiera e fino alla vendita al dettaglio”, conclude Ginestrini.

di Marianna Castelluccio


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