Nel 2012 l’Italia pagherà una bolletta energetica record: 66 miliardi di euro contro i 62,7 del 2011. E’ questo il conto salato che il nostro Paese paga per approvvigionarsi all’estero e oltre la metà, ben 37 miliardi, li spenderà per la sola bolletta petrolifera (34,7 nel 2011). Sono i dati forniti, come di consueto, dall’Unione Petrolifera nella sua relazione annuale presentata oggi a Roma. Sul salato conto del 2012 peserebbe “l’effetto dirompente” del cambio euro-dollaro. E se la spesa tocca valori record, i consumi toccano, invece, sempre più il fondo: negli ultimi 5 anni i consumi dei prodotti petroliferi sono crollati del 25% (-10/12% il calo dei carburanti).
Per il momento non ci sono segnali di ripresa, anzi sul futuro il presidente dell’Unione Petrolifera Pasquale De Vita si è mostrato abbastanza pessimista: la stima è quella di una perdita ulteriore di 4 milioni di tonnellate, visto che 3 milioni sono stati persi già nei primi 5 mesi.
De Vita ha anche parlato di auto elettriche, precisando che il loro sviluppo comunque non basterà a soddisfare la richiesta di mobilità dei cittadini e che al 2035 il petrolio soddisferà ancora il 90% della domanda di mobilità degli 1,7 miliardi di veicoli attesi per quella data (il doppio rispetto ad oggi), di cui la maggior parte concentrata nei Paesi non Ocse.
Durante la relazione dell’UP, il sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti ha precisato che il decreto sviluppo approvato venerdì scorso in Consiglio dei Ministri conferma in realtà la fascia delle 12 miglia (il limite di distanza dalla costa per le trivellazioni e la ricerca di idrocarburi in mare), sanando soltanto l’incertezza normativa nata intorno alle concessioni rimaste bloccate con la legge del 2010.
Dal vice presidente di Confindustria con delega allo sviluppo Aurelio Regina è arrivata la richiesta di riduzione della fascia di rispetto delle 12 miglia”, imposta all’indomani della marea nera nel Golfo del Messico. Correggerla, sarebbe “un vantaggio per tutti”, perché libererebbe investimenti stimati per i prossimi 5 anni in 3 miliardi di euro.
Su questa richiesta ha reagito il Senatore PD Roberto Della Seta, capogruppo in Commissione ambiente, definendola “totalmente irricevibile”. “E’ grave che uno dei massimi rappresentanti dell’industria italiana non capisca che per il lavoro, per lo sviluppo, un Paese come il nostro deve preoccuparsi molto di più di salvaguardare l’ambiente e il paesaggio che non di estrarre qualche barile di petrolio – ha dichiarato il senatore – Piaccia o no al vicepresidente di Confindustria e ai nostri petrolieri il mondo e in particolare l’Europa stanno andando in un’altra direzione: la Germania prevede che entro pochi anni il suo fabbisogno elettrico verrà soddisfatto per oltre metà dalle fonti pulite, e nel settore della mobilità l’innovazione scommette sempre di più sull’elettrico e sull’ibrido. Su un punto invece condivido ciò che ha detto il presidente dell’Unione petrolifera De Vita – ha concluso Della Seta – l’era del petrolio non finirà per esaurimento della risorsa. Ciò che condanna l’oro nero sono i suoi elevatissimi costi esterni, a cominciare dall’inquinamento e dall’impatto sul clima che già oggi provoca in molte parti del mondo danni economici e sociali consistenti”. 
La relazione dell’Unione Petrolifera non poteva lasciare indifferenti i gestori delle pompe di benzina che chiedono all’industria petrolifera di passare una volta per tutte dalle parole ai fatti. Ad esempio “sull’innovazione” si “predica senza costrutto con il risultato di avere una rete arretrata rispetto al resto d’Europa”.
“Da noi il non oil è meno del 20% sul fatturato finale, contrariamente a Francia, Germania e Regno Unito, dove il non oil costituisce la quota maggioritaria di fatturato scrive in una nota Faib Confesercenti – Le Compagnie Petrolifere in Italia stentano perfino a garantire livelli standard di manutenzione, insomma sembra che De Vita parli ai propri associati attraverso terzi interlocutori. E’ necessario che gli investimenti procedano all’ammodernamento della rete, allo sviluppo del non oil, alla competitività del sistema.
“I prezzi possono e debbono scendere e non solo nella modalità self service e solo in alcune fasce orarie, con l’unico obiettivo di eliminare il gestore. Piuttosto, i prezzi devono calare in modo generalizzato: per ottenere questo risultato, lo Stato deve smetterla di utilizzare la distribuzione carburanti come bancomat e pensare ad una riduzione delle accise nel breve medio periodo. Le Compagnie non devono cannibalizzare i gestori all’interno dello stesso marchio e garantire condizioni eque e non discriminatorie sulla rete. Sulle autostrade occorre un intervento incisivo e coordinato tra società autostrade, compagnie e associazioni gestori per evitare il fallimento di decine di impianti ormai sull’orlo della crisi.
Faib ribadisce la sua volontà di negoziare soluzioni nuove, ma chiarisce che non c’è margine di trattativa sulla salvaguardia delle condizioni di vita e degli orari di lavoro: “sono temi che non sono nella disponibilità né del mercato né dei tavoli di confronto aperti nelle diverse sedi, da quelli istituzionali a quelli industriali”.


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