Nel mese di novembre 2016, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, diminuisce dello 0,1% su base mensile e registra un aumento dello 0,1% rispetto a novembre 2015. Sono questi i dati provvisori diffusi da Istat.

La lieve ripresa dell’inflazione è dovuta soprattutto agli andamenti dei prezzi dei servizi, tra i quali spiccano la ripresa dei prezzi dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,8%) e l’accelerazione della crescita di quelli dei Servizi relativi ai trasporti (+1,0, da +0,6% di ottobre). Tra i beni, contribuiscono al ritorno in territorio positivo dell’inflazione sia i prezzi dei Beni energetici non regolamentati (+0,3%, da -0,9% di ottobre) sia quelli degli Alimentari non lavorati (+0,2%, da -0,4%), bilanciati però dal rallentamento dei prezzi dei Beni durevoli (+0,2% da +0,6%).

“Già a settembre l’inflazione era tornata a salire, per poi tornare nel mese di ottobre in territorio negativo”, commenta Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Insomma, si continua ad oscillare tra + 0,1 e – 0,1, ma la sostanza non cambia: nonostante la massiccia iniezione di liquidità della Bce i prezzi sono sostanzialmente stabili e questo indica che la domanda è ferma”. E spiega, “tutto questo in media. Perché i beni ad alta frequenza di acquisto, quelli che gli italiani non possono comunque smettere di acquistare, registrano un rialzo preoccupante, passando, su base annua, dal +0,2% di ottobre al +0,6%. Insomma, per la casalinga di Voghera, in un solo mese, i prezzi sono triplicati”.

“A spingere l’uscita dalla deflazione è l’aumento del 4,9% dei prezzi dei vegetali freschi e dell’2,8% della frutta su base mensile anche se nelle campagne i prezzi restano drammaticamente ben al di sotto dei costi di produzione in numerosi comparti, dal grano fino alle uova”. Afferma la Coldiretti nel commentare i dati Istat sull’andamento della inflazione a novembre e, in particolare, i prezzi dei beni alimentari stabili su base annuale ma in rialzo dello 0,5 % rispetto ad ottobre. “Dal campo alla tavola i prezzi aumentano di 5 volte per la pasta e di addirittura 15 volte per il pane con la forbice che”, precisa la Coldiretti, “si è fortemente allargata quest’anno. Nelle campagne continua ad essere deflazione profonda con i prezzi crollati per raccolti e per gli allevamenti che non coprono più neanche i costi di produzione o dell’alimentazione del bestiame. Oggi gli agricoltori devono vendere quindici chili di grano per comprarsene uno di pane.

Mentre per quanto riguarda il settore delle coltivazioni, Colidretti spiega che queste “subiscono la pressione delle distorsioni di filiera e dal flusso delle importazioni selvagge che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale anche perché vengono spacciati come Made in Italy per la mancanza di indicazione chiara sull’origine in etichetta come nel pane e nella pasta”.

Secondo Federconsumatori e Adusbef, I dati Istat definiscono una situazione incerta e instabile, che, vista in un’ottica di lungo periodo, dovrebbe allarmare. “Nei fatti, tra alti e bassi, continuiamo ad assistere ad una situazione di stallo, dove produzione industriale e disoccupazione non accennano a dare segnali concreti di ripresa”, hanno affermato. Lo testimoniano, secondo le due associazioni, anche i dati di Confindustria sulla produzione a novembre, che segna -0,4%.

In questo scenario si rende quanto mai indispensabile una vera e propria scossa all’economia, attraverso un rilancio della domanda interna e dell’occupazione. Il Paese ha bisogno di prospettive, di una nuova fase di sviluppo, alla quale devono essere dedicate tutte le risorse e tutti gli sforzi del Governo”, dichiarano Federconsumatori e Adusbef. “Il primo passo in tal senso è l’avvio di un Piano Straordinario per il Lavoro che stanzi risorse e investimenti per l’ innovazione, la ricerca e lo sviluppo tecnologico; che si impegni per realizzare modernizzare le infrastrutture, che realizzi un piano di messa in sicurezza antisismica e che disponga linee precise per la valorizzazione e qualificazione dell’offerta turistica. A ciò si aggiunge la necessità di eliminare categoricamente e definitivamente l’aumento dell’IVA per ora rimandato al 2018: le ricadute che deriverebbero da tale incremento sarebbero insostenibili per le famiglie, costrette a fronteggiare ricadute di +782 Euro annui, e per l’intero sistema economico”.

“È ora di dare un preciso segnale di svolta, per il futuro di questo Paese.” – dichiarano Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, Presidenti di Federconsumatori e Adusbef.

E per Confesercenti, “l’aumento rilevato dall’Istituto di statistica è ancora in massima parte dovuto a fattori stagionali e agli energetici. Gli incrementi interessano, infatti, i prezzi degli alimentari non lavorati, in particolare dei vegetali e della frutta freschi, ma a rilanciare l’indice di inflazione è soprattutto il ridimensionamento del crollo dei beni energetici. La riduzione del costo del petrolio era stata la principale causa del tasso di inflazione negativo registrato negli ultimi mesi. Anche se purtroppo non l’unica: la ripresa della domanda interna, infatti, ha avuto fino ad ora un’intensità inferiore alle previsioni. Una debolezza confermata in parte anche i dati negativi diffusi dall’Istat sulle vendite del commercio al dettaglio nei mesi di luglio, agosto e settembre”.

“Pure la stagnazione dei prezzi del cosiddetto carrello della spesa suggerisce una domanda ancora al palo o quasi”, spiega Confesercenti. “L’auspicio, quindi, è che l’inversione di tendenza dell’inflazione preluda ad un’inversione di tendenza anche per i consumi, e che la prossima stagione natalizia possa segnare finalmente il tanto atteso, e necessario, consolidamento della ripresa della spesa delle famiglie”.


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