Anche la pausa pranzo dei dipendenti pubblici è finita sotto la scure della spending review. Dalla giustizia, alla sanità al pubblico impiego fino ad arrivare ai buoni pasto che dovrebbero passare dagli attuali 7 – 8 euro a 5. “Altro che fissarlo a sette euro! Il valore facciale del buono pasto va considerato almeno di otto euro che oltretutto è anche la cifra a cui andrebbe adeguato senza indugio il limite esentasse. Non adeguare il buono pasto a questi parametri significa rinunciare a un potere d’acquisto del lavoratore pari al 3,84% rispetto all’attuale 1,7% generato dal tetto detassabile e decontribuibile fermo a 5,29 euro” ribatte Franco Tumino, il presidente Anseb, l’associazione degli emettitori buoni pasto aderenti a Fipe-Confcommercio.Tumino cita uno studio dell’Università Bocconi secondo cui “l’esenzione a 8 euro, pur portando ad una perdita minima di gettito per l’Erario di 78,7 milioni di euro si tradurrebbe in un aumento di Pil di 93,5 milioni di euro. E se si combattesse il fenomeno del secondo passaggio anche solo relativo al 10% dei buoni pasto fatturati dai supermercati, si genererebbero per le casse dell’Erario risorse aggiuntive pari a 78,8 milioni di euro”.
In questo contesto non può essere dimenticato che “il potere d’acquisto dal ‘97 al 2010 è cresciuto in Italia solo del 15% rispetto al 56% della Francia, al 46 della Spagna e al 41 della Germania”.
“Ci auguriamo che il Governo mantenga gli impegni a colpire gli sprechi e non soffochi invece il potere d’acquisto delle famiglie soprattutto se interamente destinato ai bisogni alimentari” conclude Tumino.


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