Mafia nel piatto: quando il cibo è promosso con richiami a Cosa Nostra
La parola “mafia”, e tutto il contesto che la evoca, diventa un “brand”per pubblicizzare prodotti agroalimentari che vengono venduti in Europa e nel mondo, ma anche in Italia, con riferimento a personaggi ed episodi della criminalità organizzata. Ci sono il caffè “Mafiozzo” e i sigari “Al Capone”, la pasta “Mafia” e l’amaro “Il Padrino”. Oltre a questo fenomeno, che riguarda il cibo, c’è anche un elemento inquietante: sei italiani su dieci sono disponibili ad accettare un lavoro in un’attività gestita o legata alla criminalità organizzata. È quanto emerge dalla presentazione della Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, promossa da Coldiretti.
Spiega l’associazione che i prodotti sono molteplici: ci sono il caffè “Mafiozzo” stile italiano e i sigari “Al Capone”, la pasta “Mafia” e gli snack “Chilli Mafia”, l’amaro “Il Padrino” e il limoncello “Don Corleone”, il sugo piccante “Wicked Cosa Nostra” e le spezie “Palermo Mafia shooting”. A Bruxelles si intingono le patatine nella “SauceMaffia e si condisce la pasta con la “SauceMaffioso” mentre in tutto il mondo spopolano i ristoranti e le pizzerie “Cosa Nostra” e “Mafia” e su internet è possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook”. L’associazione ha censito i prodotti agroalimentari venduti in Italia, in Europa e nel mondo con nomi che richiamano la criminalità organizzata e ha presentato i risultati durante l’odierna presentazione della Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, promossa dalla Coldiretti con la Presidenza del Comitato Scientifico del procuratore Giancarlo Caselli.
Presidente della Fondazione è lo stesso presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo che ha chiesto “l’intervento delle Istituzioni nazionali e comunitarie per porre fine ad un oltraggio insopportabile. Siamo di fronte ad uno schiaffo all’immagine dell’Italia sui mercati globali”.
Fra i prodotti censiti, c’è il sigarillo dedicato al sanguinario “Al Capone”, confezionato negli Stati Uniti per il mercato olandese. “Ma c’è anche chi – continua la Coldiretti – sfruttando la fama della saga cinematografica “Il Padrino”, nel paese siciliano che ha tristemente legato il suo nome alla mafia, ha messo in vendita il liquore d’erbe “Don Corleone” a base di miscela d’erbe ed estratti naturali “product in Sicily” o l’amaro “Il Padrino” anch’esso nato da una antica ricetta corleonese per acchiappare qualche turista inconsapevole del dolore provocato dalla criminalità in questi territori. Il marchio “Mafia” viene peraltro usato “a raffica” nella ristorazione internazionale per fare affari, come nel caso della catena di ristoranti “La Mafia” diffusa in Spagna che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari (da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, fino ad Al Capone), mentre praticamente ovunque, dal Messico a Sharm El Sheik, dal Minnesota alla Macedonia si trovano ristoranti e pizzerie “Cosa Nostra” e l’insegna La Camorra Pasta Pizza & Grill si puo’ trovare a La Paz in Perù”.
L’incontro ha rappresentato anche l’occasione per presentare un’indagine Coldiretti/Ixè dalla quale emerge che sei disoccupati su dieci (60 per cento) sono disposti ad accettare un posto di lavoro in un’attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare il denaro: il 54 per cento accetterebbe a patto che il lavoro sia onesto e non si commettano reati, il 6 per cento accetterebbe in ogni caso. Spiega Coldiretti: “Mafia, camorra, ‘ndrangheta e company possono contare su un esercito potenziale di quasi 2 milioni di persone che, spinti nella marginalità economica e sociale, si dicono disponibili a lavorare per loro e tra queste ben 230mila persone non avrebbero problemi a commettere consapevolmente azioni illegali pur di avere una occupazione”. Se l’80 per cento degli intervistati afferma che non andrebbe in nessun caso in una pizzeria, un bar o un supermercato gestito o legato alla criminalità organizzata, c’è però anche un 18 per cento che non avrebbe problemi a recarsi in tali locali purché i prezzi siano convenienti (9 per cento), i prodotti siano buoni di ottima qualità (5 per cento) o addirittura se il posto sia comodo e vicino a casa (4 per cento). C’è anche un altro dato da sottolineare: il 58 per cento degli intervistati non sarebbe disposto a pagare il 20 per cento in più per un prodotto alimentare ottenuto da terre o aziende confiscate alla mafia.
“Con l’Osservatorio si intende creare – sottolinea la Coldiretti – un complesso di controlli che assicuri la più completa informativa ai consumatori, contrastando le contraffazioni e le adulterazioni alimentari. In tale prospettiva, la Fondazione intende promuovere iniziative di approfondimento in merito agli interventi e agli effetti delle pronunce di tutte le Autorità amministrative indipendenti che possano interferire nel mercato dell’agroalimentare, analizzando e approfondendo, in particolare, le attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. La Fondazione promuove, inoltre, le azioni legali collettive di tutela dei consumatori, con particolare riguardo – continua la Coldiretti – all’accertamento della responsabilità in materia ambientale e alimentare e per la condanna al risarcimento dei danni. Nell’ambito dei propri scopi istituzionali, la Fondazione svolge un ruolo propositivo nel confronti della Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, nonché delle Commissioni parlamentari d’inchiesta istituite per l’analisi conoscitiva dei fenomeni della contraffazione e della pirateria commerciale”.