
PFAS nei cibi, l'EFSA stabilisce un nuovo limite di sicurezza
PFAS nei cibi, l’EFSA stabilisce una nuova soglia di sicurezza
I PFAS sono presenti nell’acqua potabile e in alcuni cibi, come pesce, frutta, uova e prodotti a base di uova. L’EFSA ne valuta i rischi e stabilisce il nuovo limite di sicurezza a 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo alla settimana
L’EFSA (European Food Safety Authority) ha stabilito una nuova soglia di sicurezza per le principali sostanze perfluoroalchiliche, o PFAS, che si accumulano nell’organismo umano: una dose settimanale tollerabile di gruppo (DST) di 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo alla settimana.
Il limite viene specificato in un parere scientifico sui rischi per la salute umana derivanti dalla presenza di queste sostanze negli alimenti.
Cosa sono i PFAS?
I PFAS sono un gruppo di sostanze chimiche artificiali prodotte e utilizzate in tutto il mondo in vari settori industriali, ad esempio tessile, prodotti per la casa, prodotti antincendio, automobilistico, alimentare, edile, elettronico.
L’esposizione a queste sostanze chimiche – spiega l’EFSA – può provocare effetti nocivi sulla salute dell’uomo e può avvenire in vari modi. Ad esempio tramite i cibi dove tali sostanze sono presenti più frequentemente, come pesce, frutta, uova e prodotti a base di uova e l’acqua potabile.

“I bambini piccoli ma anche quelli più grandi sono le fasce di popolazione maggiormente esposte – affermano gli scienziati dell’EFSA – e l’esposizione durante la gravidanza e l’allattamento al seno è il principale fattore che contribuisce alla presenza di PFAS nei neonati”.
Inoltre, nello stabilire la DST, gli esperti hanno ritenuto che l’effetto più critico per la salute umana sia la diminuita risposta del sistema immunitario alle vaccinazioni. Una novità rispetto al precedente parere dell’EFSA del 2018, che riteneva l’aumento del colesterolo il principale effetto critico.
In che modo vengono contaminati gli alimenti?
I cibi possono venire contaminati dai terreni o da acque contaminate usate per coltivarli; dai PFAS concentratisi nell’organismo di animali tramite mangimi e acqua; da imballaggi alimentari contenenti tali sostanze; o anche da attrezzature usate per le lavorazioni alimentari.
