L’attuale tariffa sui rifiuti agisce come un’imposta patrimoniale ma pesa di più sulle famiglie con redditi più bassi. Inoltre “il prelievo non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti”. La Ta.ri è di fatto una tariffa iniqua, che ha un impatto maggiore sulle famiglie con meno consumi e quindi con minore produzione di rifiuti. A dirlo è uno studio della Banca d’Italia – “Il prelievo locale sui rifiuti in Italia: benefit tax o imposta patrimoniale (occulta)?” – che simula anche l’impatto di un diverso tipo di tariffa sulle famiglie.

Nel sommario si legge subito: “La gestione dei rifiuti presenta caratteristiche idonee all’applicazione di una tariffa corrispettiva, commisurata all’entità dei rifiuti prodotti, con risvolti positivi sia sotto il profilo della finanza locale sia sul piano ambientale. In Italia tale servizio è invece finanziato con una tassa (la Ta.ri.), di fatto assimilabile a un’imposta patrimoniale”.

Dall’indagine fatta dalla Banca d’Italia emerge che “la Ta.ri. non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti e presenta effetti redistributivi peculiari a sfavore dei nuclei con redditi più bassi. Una riconfigurazione del prelievo in chiave tariffaria porterebbe benefici non solo in termini di efficienza – per gli incentivi ad un utilizzo più responsabile delle risorse pubbliche e di quelle ambientali – ma anche in termini di equità, poiché rimuoverebbe i profili di regressività dell’attuale Ta.ri”.

Una prospettiva diversa si avrebbe con una tariffa basata sulla quantità di rifiuti prodotti. Con l’innovazione tecnologica, spiega Bankitalia, si sono sviluppate forme diverse per misurare la quantità di rifiuti prodotti, ma in Italia il fenomeno della tariffazione puntuale del servizio rifiuti “è ancora limitato a poche realtà territoriali e il servizio è finanziato con una “Tassa sui rifiuti” (Ta.ri) con connotati in parte assimilabili a quelli di un’imposta patrimoniale”.

“La Ta.ri.  – prosegue Bankitalia – ha un ruolo rilevante nei bilanci locali. Essa fornisce un gettito di quasi 10 miliardi (di cui si può stimare che all’incirca il sessanta per cento sia prelevato sulle famiglie), corrispondente a quasi un quinto delle entrate comunali; inoltre dal 2016 rappresenta l’unica forma di prelievo sulla proprietà dell’abitazione di residenza e il suo importo può essere incrementato dagli enti (a differenza delle aliquote degli altri tributi locali, che sono bloccate). La Ta.ri. è tuttavia molto lontana dalla logica della benefit taxation, essendo legata alla dimensione dell’abitazione e a quella del nucleo familiare ma in modo del tutto inadeguato a cogliere la quantità di servizio effettivamente reso”.

Una tassazione legata alla dimensione della casa e alla numerosità delle famiglie agisce come una patrimoniale ma è legata solo alla dimensione e non al valore dell’immobile;  “il prelievo non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti”; la riconfigurazione in chiave tariffaria “porterebbe vantaggi non solo in termini di efficienza dell’assetto di finanza locale e di un utilizzo più consapevole delle risorse ambientali, ma anche sul piano di una più equa ripartizione del carico fiscale fra famiglie”.

Bankitalia ha simulato l’applicazione della Ta.ri. sulla base dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane e ha incrociato le informazioni con le delibere approvate dai Comuni, che disciplinano la tariffa.  “In media, nel 2016 le famiglie italiane hanno pagato circa 230 euro per la Ta.ri. sull’abitazione di residenza”, dice Bankitalia, ma con forti differenze legate alle dimensioni delle famiglie e all’ampiezza delle abitazioni. Ad esempio, prosegue lo studio, “il tributo medio richiesto a una famiglia di due componenti oscilla tra circa 180 euro per i nuclei residenti in abitazioni al di sotto dei 75 metri quadri a oltre 290 euro per quelli residenti in abitazioni superiori a 120 metri quadri. Più in generale, tenendo conto delle specificità comunali, la Ta.ri. aumenta mediamente di circa 40 euro per ogni componente in più del nucleo familiare (fino a sei, oltre gli incrementi sono nulli) e di circa 1,07 euro per ogni ulteriore metro quadro di superficie”. Ci sono poi differenze territoriali, per cui la tassa è più alta nelle regioni del Sud, dove si attesta in media a 269 euro, più 17% rispetto al dato nazionale, e più bassa al Nord-Est, dove è di poco superiore a 195 euro.

Spiega Bankitalia che, sotto l’aspetto della patrimoniale, “un’imposta basata sulla superficie è potenzialmente iniqua” perché i valori immobiliari possono essere molto diversi a seconda della collocazione dell’abitazione e della sua vetustà. “L’iniquità della Ta.ri. come imposta patrimoniale è d’altra parte rafforzata dal fatto che la numerosità di un nucleo familiare incide significativamente sull’importo della tassa, in modo del tutto indipendente dal valore della ricchezza immobiliare”.

L’incidenza della Ta.ri. è così più elevate nelle famiglie che hanno livelli di consumi, quindi di produzione rifiuti, particolarmente bassi: queste famiglie pagano in rapporto al reddito “una tassa più che doppia” rispetto alle famiglie che consumano di più.

Diverso il caso delle tariffe basate sulla produzione di rifiuti. L’analisi prende a riferimento i dati dell’Ispra (Istituto per la protezione e ricerca ambientale), che individua un centinaio di comuni in cui si applica invece la tariffa puntuale, quasi tutti di con meno di 10 mila abitanti, in Trentino Alto-Adige, Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia. I dati dicono che con questo tipo di tariffa si innesca un “circolo virtuoso”, caratterizzato dall’aumento della raccolta differenziata e riciclata e da una riduzione del costo del servizio rispetto agli altri enti della stessa Regione. Nei Comuni con tariffa puntuale c’è una riduzione di costi pari al 7 per cento per il Trentino-Alto Adige, a oltre il 20 per  cento in Veneto, di circa il 9 per cento in Emilia-Romagna e del 3,4 per cento in Lombardia. È più bassa anche la quantità di rifiuti indifferenziati a persona prodotti.

Bankitalia calcola poi una Ta.ri. “ipotetica” proporzionale alla quantità di rifiuti prodotti, sulla base dei dati sui consumi alimentari. L’indagine evidenzia che le famiglie con consumi alimentari più basse pagherebbero 100 euro per la Ta.ri. ipotetica invece dei circa 160 euro di quella effettiva, mentre le famiglie con consumi più alti pagherebbero 450 euro di Ta.ri. rispetto ai 310 di quella effettiva – con una redistribuzione in favore di chi è più povero e dunque una tassazione maggiore per chi ora paga, in pratica, meno del dovuto.

 

@sabrybergamini

 

Notizia pubblicata il 13/12/2018 ore 17.49


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