Sondaggio HC. Reddito di cittadinanza: una questione di dignità
Questo reddito di cittadinanza non s’ha da fare. Almeno così la pensa la maggior parte dei lettori di Help Consumatori che hanno votato il sondaggio online sulla pagina Facebook della nostra redazione. Il fronte dei contrari si è imposto per una manciata di voti sul fronte dei favorevoli (52% vs 48%).
L’11 ottobre, con l’approvazione della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF), si è posta (per ora sulla carta), la prima pietra per dare avvio al Reddito di cittadinanza che, sempre secondo i primi calcoli, ammonterà a 780 euro e coinvolgerà potenzialmente una platea di 6 milioni di persone, ossia 15,6% della popolazione. Un piccolo esercito di cittadini che attende una speranza.
Lo diciamo da subito, così da non costringere nessuno a leggere tra le righe, lo Stato ha il dovere di assistere e prendersi cura dei cittadini più svantaggiati, offrendo loro opportunità di lavoro e, nell’attesa, un sussidio minimo per (sopra)vivere. L’Italia non sarebbe tra l’atro l’unico Paese a mettere in atto un piano di questo tipo. In Europa è già a regime in diversi Stati.
In Germania lo Stato garantisce l’assistenza al soggetto che sta cercando lavoro con un sussidio che oscilla attorno ai 400 euro.
Nel Regno Unito, l”income support’ viene concesso in base a una serie di requisiti: condizione necessaria di partenza è, naturalmente, l’assenza di reddito (o reddito basso) e la mancanza di un lavoro a tempo pieno.
In Francia è stato creato il Revenu de solidarité active (RSA), disponibile a determinate condizioni per chi ha almeno 25 anni o per chi, con un’età inferiore, è già genitore single. La base si aggira attorno ai 400 euro e, anche in questo caso, la presenza di figli determina un aumento della cifra.
E poi ci sono gli “Over the Top” a cui tendere, ovvero i civilissimi Stati del Nord Europa. In Danimarca, il welfare assicura per chi non è in grado di provvedere al proprio sostentamento. La cifra, adeguata all’elevato costo della vita, può partire da 1.300-1.400 euro al mese. per ottenerli, il cittadino dovrà, oltre ad iscriversi alle liste di disoccupazione, partecipi a corsi e tirocini per il reinserimento nel mercato del lavoro (Cfr. modello italiano)
La Finlandia, invece, ha varato, all’inizio dello scorso anno, un reddito garantito di 560 euro mensili a 2.000 cittadini disoccupati (percentuale molto più bassa di quella del nostro Paese). L’altra grande differenza con il modello italiano? In Finlandia nessuna spesa è “immorale”: i cittadini possono comprare con i soldi che ricevono tutto (ma proprio tutto) quello che desiderano.
Non volendo entrare nel merito della fattibilità e soprattutto della sostenibilità per le casse dello Stato italiano di un’operazione come il reddito di cittadinanza, quello che proprio non ci torna sono i tanti paletti che finiscono per assottigliare di parecchio le fila di coloro che hanno diritto.
Transeat per l’iscrizione ai Centri per l’impiego (che andranno comunque riformati e potenziati), transeat per il doversi impegnare attivamente nella ricerca di un lavoro e rendersi immediatamente disponibili alle offerte proposte (condizione più che giusta); transeat anche per il dover dare la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività (8 ore settimanali, meglio che restare con le mani in mano); bene anche l’impegno nella formazione con percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale.
Restare sul divano? Vietatissimo.
Ma come la mettiamo con le spese “morali” e “immorali”? Chi stabilisce cosa è necessario e cosa non lo è per una famiglia? Consentiteci una leggera ironia che non vuole, in nessun modo, sfociare nel sarcasmo. Ad esclusione dei comprensibili Gratta&Vinci o sigarette, un giocattolo in più è “immorale”? Comprare un taglio di carne più pregiato, è “immorale”?
E poi c’è la sempiterna questione dei “bamboccioni”. Se hai una certa età e vivi ancora con i tuoi genitori, potresti non aver diritto al reddito di cittadinanza. In base alle regole attuali, infatti, i figli maggiorenni che convivono con uno o entrambi i genitori fanno parte del nucleo familiare del genitore con il quale convivono. E fanno parte del nucleo familiare anche nel caso in cui non siano conviventi con i genitori, ma siano a loro carico ai fini Irpef e non siano coniugati o abbiano figli. Chi sta a casa senza studiare o lavorare, insomma, rischia di essere escluso dal reddito se ha una situazione familiare tale per cui i genitori sono in grado di mantenerli.
Per adesso, di certo sappiamo solo che le risorse per attuare il Reddito di cittadinanza ci sono (non si sa bene a scapito di cosa, ma ci sono). Il resto è ancora avvolto in una nebbia che va tutt’altro che diradandosi.
In linea teorica, il Reddito di cittadinanza spetterà per intero a coloro che hanno un reddito pari a zero, mentre per gli altri rappresenterà un’integrazione al reddito per raggiungere i 780 euro. La quota del reddito di cittadinanza cambia a seconda del numero di componenti del nucleo familiare. Ad esempio in una famiglia con i genitori disoccupati e figli a carico il sussidio sale fino a 1.630 euro, per una famiglia con due genitori e un solo figlio la quota è di 1.014 euro.
Se si ha una casa di proprietà, dai 780 euro verrà decurtata una parte relativa definita “affitto imputato”, che ammonta a 380 euro.
Niente soldi in contanti ma probabilmente una card (ci domandiamo come si potrà utilizzare questo strumento nei piccoli negozi di quartiere che il Pos non ce l’hanno neanche per sbaglio) sulla quale mensilmente verrà caricato l’importo a cui si ha diritto. Il “non speso” resterà nelle casse dell’erario.
Non resta che aspettare il testo che definirà in maniera chiara le tante regole da rispettare per avere accesso a quello che dovrebbe essere, ancora una volta sulla carta, un diritto assoluto: la dignità.
@ELeoparco