Per combattere l’inquinamento da plastica non basta affatto riciclare: bisogna diminuire la plastica monouso immessa sul mercato, a partire dagli imballaggi. Inutile chiedere un’assunzione di responsabilità solo ai consumatori: sono le grandi aziende che per prime devono intervenire e proporre imballaggi alternativi, che possano essere riutilizzati prima ancora che riciclati. A dirlo è Greenpeace, che ha già sollevato il tema della responsabilità delle multinazionali perché intervengano limitando la produzione di plastica usa e getta. L’associazione lancia oggi un dossier dal titolo inequivocabile: “Plastica: il riciclo non basta”.

In Italia circa il 40% di tutta la plastica prodotta viene impiegata per produrre imballaggi, che spesso vengono usati per pochi secondi o pochi minuti: basti pensare alla vita media delle cannucce, o delle bottiglie in plastica, o a qualunque packaging alimentare. “Riciclare la plastica non è la soluzione per contrastare una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi: l’inquinamento da plastica – sostiene Greenpeace – Con una produzione in vertiginosa crescita su scala globale, che raddoppierà i volumi attuali entro il 2025, l’unica possibilità per intervenire in modo risolutivo è ridurre, drasticamente e con urgenza, l’immissione sul mercato di imballaggi in plastica usa e getta”.

Il rapporto “Plastica: il riciclo non basta. Produzione, immissione al consumo e riciclo della plastica in Italia” è stato redatto dalla Scuola Agraria del Parco di Monza per conto di Greenpeace e analizza la situazione specifica relativa alla sola plastica da imballaggi, insieme all’efficacia del sistema di riciclo nel nostro Paese – e non complessivamente a tutta la plastica immessa sul mercato – per contrastare l’inquinamento da plastica.

“Riciclare è un gesto importante ma che da solo non basterà a salvare i mari del Pianeta dalla plastica. Le grandi aziende che continuano a fare profitti con la plastica usa e getta sanno benissimo che è impossibile riciclarla tutta ma continuano a produrne sempre di più – sostiene Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia –  È necessario che i grandi marchi si assumano le proprie responsabilità partendo proprio dalla riduzione dei quantitativi di plastica monouso immessi sul mercato”.

I dati? L’Italia è seconda in Europa, dietro la Germania, per plastica prodotta, con l’immissione al consumo di circa 6-7 milioni di tonnellate annue, il 40 per cento delle quali viene impiegato per produrre imballaggi. Si legge nel rapporto: “In Italia, nonostante il tasso di riciclo sia in linea con la tendenza media europea, secondo i dati  Corepla del 2017, di tutti gli imballaggi in plastica immessi al consumo, solo poco più di 4 su 10 vengono effettivamente riciclati, 4 invece vengono bruciati negli inceneritori – una pratica tutt’altro che priva di conseguenze negative per l’ambiente e considerata come extrema ratio nella gestione dei rifiuti nell’ambito dell’economia circolare – e i restanti immessi in discarica o dispersi nell’ambiente”.

Lo steso tasso di riciclo degli imballaggi è cresciuto negli anni ed è passato dal 38% del 2014 al 43% del 2017 ma “non è riuscito a bilanciare l’aumento del consumo di plastica monouso – prosegue il dossier – Infatti, le tonnellate di imballaggi non riciclati sono rimaste sostanzialmente invariate dal 2014 (1,292 milioni di tonnellate) al 2017 (1,284 milioni di tonnellate) vanificando, di fatto, gli sforzi e gli investimenti per migliorare e rendere più efficiente il sistema del riciclo”.

“Nonostante sia possibile prevedere un incremento del riciclo nei prossimi anni, a causa del consolidamento di meccanismi come la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) o la possibile introduzione di sistemi di deposito su cauzione, è improbabile che si riesca a colmare la differenza tra immesso al consumo e tonnellaggio riciclato – spiega Enzo Favoino, Ricercatore della Scuola Agraria del Parco di Monza e tra gli autori del rapporto – La direzione principale per affrontare il problema è la drastica riduzione del ricorso alla plastica e la riprogettazione di imballaggi nella direzione della durevolezza e riusabilità prima ancora che della riciclabilità”.

Bisogna dunque produrre meno plastica e cominciare a immettere sul mercato imballaggi alternativi, facendo in modo che siano le aziende ad assumersi la responsabilità di farlo, senza scaricare tutto sui consumatori. Greenpeace chiede dunque alle aziende e alle multinazionali di fare di più e per questo ha lanciato nei mesi scorsi una petizione  (no-plastica.greenpeace.it), sottoscritta da più di un milione di persone in tutto il mondo, in cui si chiede ai grandi marchi come Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Unilever, Procter & Gamble, McDonald’s e Starbucks di ridurre drasticamente l’utilizzo di contenitori e imballaggi in plastica monouso.


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