TopNews. Microplastica dai vestiti, Marevivo lancia campagna #stopmicrofibre
Anche gli abiti e i maglioni producono microplastiche. Che non passano gli impianti di filtraggio, finiscono negli oceani, inquinano i mari ed entrano nella catena alimentare. Ogni volta che parte una lavatrice piena di abiti in tessuti sintetici, 700 mila fibre di microscopiche particelle vengono rilasciate in acqua e finiscono in mare. I principali responsabili sono acrilico e poliestere. Marevivo punta i riflettori su questa fonte di inquinamento e lancia la campagna #stopmicrofibre per sensibilizzare sul problema delle microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici in lavatrici. Non si tratta di un fenomeno di poco conto: alcune stime dicono che ogni anno la quantità di microfibre che finisce negli oceani è equivalente a 50 miliardi di bottiglie di plastica.
Non c’è solo il problema delle microplastiche nei cosmetici, a dicembre messe al bando col divieto di mettere in commercio cosmetici di questo tipo a partire dal 2020. Diversi studi dicono che ogni lavaggio in lavatrice di tessuti sintetici liberi milioni di particelle di fibre microplastiche, inferiori a 5 millimetri di lunghezza, che non vengono filtrate e finiscono in mare e negli oceani. Spiega Marevivo: “Secondo il team dell’università di Plymouth, Regno Unito, che per un anno ha analizzato ciò che accadeva quando i materiali sintetici venivano lavati a temperature diverse, tra i 30 e i 40 gradi, con differenti combinazioni di detergenti, ogni ciclo rilascerebbe circa 700.000 fibre di microscopiche particelle nell’ambiente. L’acrilico è uno dei tessuti peggiori in grado di liberare circa 730.000 di minuscole particelle, cinque volte in più del tessuto misto cotone-poliestere che ne cede 137.000. Un solo carico di 5 kg di materiale in poliestere produce tra i 6 e i 17,7 milioni di microfibre, secondo i dati di uno studio pubblicato da Environmental Pollution (2017) (De Falco,F.,et al., Evaluation of microplastic release caused by textile washing processes of synthetic fabrics)”.
Recenti studi dicono che il 35% delle microplastiche primarie, che non vengono da decomposizione dei rifiuti, è rappresentato dalle microfibre rilasciate dai tessuti sintetici. I principali responsabili sono acrilico e poliestere. Questi materiali, spiega Marevivo, “dovrebbero essere sostituiti da altri più sostenibili che non rilascino sostanze pericolose e microfibre, come suggerisce la fondazione Ellen MacArthur che in un recente studio “A New textiles economy” ha denunciato come gli abiti scarichino ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani. Una quantità pari a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica. Sostenuta dalla stilista Stella McCartney, Ellen MacArthur ha lanciato la campagna per ridurre le emissioni prodotte dalla moda”.
Cosa fare? Serve investire su tessuti più eco-friendly, visto che il 60% di tutti gli indumenti a livello globale è realizzato in poliestere, ma è necessario anche migliorare il sistema di filtraggio dei depuratori delle acque reflue. Commenta Rosalba Giugni, presidente di Marevivo: “Queste microfibre raggiungono il mare perché non bloccate dagli impianti di trattamento. Un danno non solo ambientale perché le particelle entrano nella catena alimentare accumulandosi negli apparati digerenti degli animali, riducendo anche la loro capacità di assorbire il cibo. Scienziati di tutto il mondo stanno lavorando per trovare una soluzione. La prima fra tutte deve essere quella di studiare tessuti senza rilascio di microfibre. Non è semplice, nel frattempo ognuno di noi può fare qualcosa per aiutare il mare. Ridurre, Riciclare e Riusare. Ridurre gli acquisti superflui, usare più a lungo i capi acquistati e riciclarli correttamente, effettuare lavaggi meno frequenti usando programmi per la lavatrice brevi, a basse temperature e con una velocità della centrifuga ridotta”.
Notizia pubblicata il 12/01/2018 ore 16.01