Pubblicità sui social senza alcuna trasparenza. Il brand di fatto reclamizzato senza che il destinatario abbia ben chiara la natura promozionale della fotografia, del video o del commento postati sui social media. Sul fenomeno dei web influencer torna ad accendere i riflettori l’Unione nazionale consumatori, che chiede un intervento urgente dell’Antitrust. Perché la “moral suasion” promossa a luglio dall’Autorità non sembra aver avuto grande effetto.

Il problema, spiega l’Unc, non sono solo le grandi star e i personaggi noti al grande pubblico, ma anche quei micro-influencer che hanno un seguito minore ma di sicuro corposo e seguito da migliaia di adolescenti. Il fenomeno è presto detto: si sta parlando della diffusione, su blog e social network, di immagini, video, commenti, foto che mostrano sostegno o approvazione per determinati brand senza rivelare la loro natura pubblicitaria. Già a luglio l’Antitrust era intervenuto chiedendo trasparenza e chiarezza agli influencer e alle società dei marchi visualizzati e sollecitando a rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale dei contenuti diffusi sui social media.

“La moral suasion dell’Autorità Antitrust dello scorso luglio sul web marketing degli influencer sui social network non ha sortito gli effetti auspicati – denuncia oggi l’Unione Nazionale Consumatori – Non solo infatti molti influencer continuano a pubblicizzare senza alcuna avvertenza vari prodotti, ma si moltiplicano i micro-influencer che pubblicano post pubblicitari non etichettandoli in modo trasparente o inserendo l’hashtag #AD in modo improprio, cioè ad esempio troppo in là nel corpo del testo di accompagnamento così da non essere visibile al pubblico”. Per questo motivo l’associazione, che aveva denunciato casi di  “product placement camuffato” già lo scorso aprile, ha depositato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato una integrazione alla prima segnalazione di aprile, aggiungendo nuovi casi.

“Da Luca Argentero a Mariano Di Vaio -dichiara il presidente di UNC Massimiliano Dona- fioccano i casi di personaggi più o meno noti al grande pubblico, ma comunque con un seguito di migliaia di followers (se non addirittura di milioni nel caso di Di Vaio) che pubblicizzano abbigliamento, occhiali e quant’altro senza alcuna indicazione circa la natura commerciale del post. Accanto a queste vere e proprie celebrità -continua Dona- esiste tutta una serie di altri personaggi, cosiddetti “micro-influencer” (dalle sorelle Nasti a Eliana Cartella solo per citarne qualcuno) sui quali intendiamo attirare nuovamente l’attenzione dell’Autorità, trattandosi di profili che possono vantare un numero più contenuto di followers, ma sempre significativo: il fatto che non siano ‘personaggi famosi’ per il grande pubblico (come un attore del cinema o una star della tv) rende invero la loro influenza ancora più pervasiva, soprattutto se considerato che sono seguiti da migliaia di adolescenti.”

Naturalmente il problema è ampio e riguarda non solo le “star” di Internet ma anche il comportamento delle aziende che chiedono alle agenzie che gestiscono i vip di pubblicare foto e video sulle piattaforme social con evidenti finalità promozionali. L’Antitrust, come detto, lo scorso luglio aveva inviato lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati, ricordando “che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore”, evidenziando “il divieto di pubblicità occulta” e chiedendo “l’inserimento di avvertenze, quali, a titolo esemplificativo e alternativo, #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #prodottofornitoda; diciture alle quali far sempre seguire il nome del marchio.”

Ora l’UNC chiede una nuova azione. “Chiediamo all’Autorità di intervenire il prima possibile per accertare la legittimità di questa pratica di pubblicità camuffata sui social network – dice Dona- e ribadiamo l’urgenza di regole chiare per la pubblicità social”.


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