La green economy in Italia: grandi potenzialità ancora da sfruttare
Si aprono oggi a Rimini gli Stati generali della Green Economy. La green economy in Italia è una realtà consistente: il 42% delle imprese è collocabile nella green economy e ce ne sono 5.000 solo nella gestione dei rifiuti.
“La consapevolezza delle sfide della nostra epoca, l’importanza decisiva della transizione alla green economy per affrontarle e l’impegno per le misure per attuarle devono essere”, ha dichiarato Edo Ronchi, del Consiglio Nazionale della Green Economy, “criteri fondamentali per valutare le proposte politiche e valutare se siano all’altezza dei tempi o inadeguate. Lo sviluppo di una green economy è importante per cogliere le grandi potenzialità green dell’Italia e assicurare uno sviluppo sostenibile, con maggiore occupazione e un miglior benessere”.
Dalla terza Relazione sullo Stato della Green Economy in Italia, presentata nella giornata inaugurale della manifestazione, si apprende che le emissioni di gas serra in Italia, dopo l’aumento del 2015, sono calate nel 2016, ma le previsioni del 2017 sembrerebbero indicare un nuovo aumento, in particolare nel settore elettrico. Nel 2015 l’Italia ha superato il suo obiettivo di quota di rinnovabili sul consumo interno lordo con il 17,5%, a fronte di una media europea del 16,7%. Tuttavia occorre prestare attenzione al settore elettrico, che rappresenta circa il 40% di tutte le rinnovabili, nel 2017 si sta registrando la prima flessione assoluta a causa di un forte calo della produzione idroelettrica e dell’eolico. Sintomatico anche il calo degli investimenti nelle rinnovabili, da 3,6 miliardi nel 2013 a soli 1,7 nel 2016.
Gli impatti del cambiamento climatico in Italia sono rilevanti e in peggioramento: il 2017 si ricorderà come il secondo anno più caldo dal 1880 e l’Istat dice che i ghiacciai alpini negli ultimi 40 anni hanno già perso quasi la metà dei propri volumi.
Importanti passi avanti sono fatti sul piano della gestione dei rifiuti. Se vent’anni fa finiva in discarica l’80% dei rifiuti urbani e la raccolta differenziata e il riciclo erano inesistenti; oggi in discarica va il 25% (alcune regioni come Lombardia e Friuli Venezia Giulia sono al 4% di smaltimento in discarica), la raccolta differenziata ha raggiunto nel 2016 il 52,5% e il riciclo è al 47,7%, con i nuovi criteri di calcolo del DM 26 maggio 2016.
Diminuisce però la spesa pubblica in Ricerca e Sviluppo a fini ambientali (- 5,8% nel 2015 rispetto al 2014), a fronte di un aumento dell’8,7% nell’eurozona. Nella spesa in R&S per l’ambiente pro capite siamo quindi scesi al 10° posto in Europa, con 8,7 euro, a fronte di una media di 15,6 nell’eurozona. Buone performance invece per il labelling ambientale dove l’Italia con 351 licenze ecolabel è seconda solo alla Germania.
Altra nota dolente è la mobilità. L’Italia è il Paese europeo con il tasso di motorizzazione privata più alto: 600 autoveicoli a benzina e diesel ogni 1.000 abitanti. Il livello della penetrazione delle auto elettriche nel parco auto circolante in Italia è considerevolmente inferiore, sia in termini assoluti sia nel confronto con altri Paesi in Europa. Mentre in Norvegia ad esempio si arriva al 29% di auto elettriche rispetto al totale delle auto immatricolate in un anno, l’Italia è ferma allo 0,2% con un irrilevante 0,05% sul totale del parco circolante. Per le auto ibride, costante dal 2010 la crescita: nel 2016 rappresentano il 2,1% del totale immatricolato con un +0,4% rispetto al 2015 (l’Italia è seconda solo alla Norvegia). L’Italia continua a essere il Paese leader in Europa per quanto riguarda invece la quota delle auto alimentate a gas (nelle città italiane oggi sono 80 mila vetture a combustibili alternativi, con in testa Trento e Bolzano). In calo in media del 17% nelle città, tra il 2010 e il 2015, l’offerta di posti disponibili sugli autobus.
Le maggiori criticità del Paese si rilevano per quanto riguarda la salvaguardia del capitale naturale. L’Italia è particolarmente ricca di biodiversità (6.700 specie di flora e 58.000 di fauna) e la superficie forestale copre il 37% del territorio nazionale. Da una prima valutazione dei servizi forniti dagli ecosistemi emerge un valore monetario di 338 miliardi di euro, circa il 23% del Pil a fronte di una spesa per la protezione della natura e del paesaggio di circa 579 milioni nel 2016, lo 0,03% del Pil.
Particolarmente problematico è l’aumento del consumo di suolo: fra novembre 2015 e maggio 2016 sono stati coperti artificialmente 50 km quadrati di territorio, in media 30 ettari al giorno; l’Italia, in questa classifica negativa, è preceduta solo da Germania, Lussemburgo, Belgio e Olanda (che raggiunge il 12,3% di suolo occupato), e ben al di sopra della media europea (4,3%). Le regioni meno virtuose, considerando gli incrementi percentuali maggiori di consumo di suolo fra la fine del 2015 e la metà del 2016, sono Sicilia, Campania e Lazio.
Una componente del capitale naturale è rappresentata dalle acque. Nel 2015 la differenza tra acqua immessa in rete ed erogata nei soli comuni capoluogo di provincia è stata pari a oltre un miliardo di metri cubi. Nelle città le perdite idriche totali raggiungono in media il 38,2%, con valori che vanno dal 9% di Macerata fino al 75,4% di Frosinone. Roma presenta i più alti livelli di perdite di rete tra le grandi città italiane, con il 44% contro ad esempio il 36% di Napoli, il 28% di Torino e il 17% di Milano. Palermo arriva al 55% e, tra il 2014 e il 2015, nelle città italiane le perdite sono addirittura aumentate passando dal 35,6% nel 2012 al 38,3% nel 2015. Le disfunzioni nella gestione del ciclo delle acque non sono migliorate nonostante 24 mld investiti in 16 anni.
Una nota positiva arriva invece dall’agricoltura di qualità ecologica che ha ricevuto un positivo impulso da Expo 2015. Nel 2015 il 12% della superficie agricola utilizzata in Italia è coltivata in modo biologico, la maggiore estensione in Europa (7,9% Spagna, 6,5% Germania e 5% Francia) e nel 2016 è cresciuta del 20,3% rispetto all’ anno precedente. L’Italia è poi il secondo esportatore mondiale di biologico dopo gli USA ed è in testa anche per prodotti agroalimentari certificati nel 2016, con ben il 27,5% del totale europeo, davanti alla Francia con il 22,6%.
Notizia pubblicata il 07/11/2017 ore 17.56