Il disegno di legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) è in discussione al Senato e il dibattito si accende. In ballo ci sono aspetti etici, politici e normativi, ma soprattutto la libertà di scelta sul fine vita. “Il giudizio sulla legge è molto positivo” commenta la senatrice Emila Grazia De Biasi, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato e relatrice del disegno di legge in materia di Dat .

È una legge equilibrata, molto attesa dai cittadini italiani, che porta l’Italia ad allinearsi agli altri Paesi europei dove molte scelte in questo senso sono già state fatte. Il primo punto qualificante è la definizione di consenso informato, il secondo è a mio avviso la possibilità che il medico possa rifiutarsi di applicare alcuni trattamenti contrari a un’etica professionale, il terzo riguarda l’alimentazione e l’idratazione artificiali considerati nel ddl come trattamenti sanitari; il tema della sedazione profonda e molti altri fino ad arrivare al ‘cuore’ della legge, le Dat. Queste definiscono la possibilità della persona di stilare una Dat, di depositarla e anche di poterla poi cambiare. Si tratta di una legge che non impone alcun obbligo, ma dà la possibilità a chi vuole farlo di predisporre le proprie volontà”.

Un tema di interesse sociale, dunque, che richiede il contributo di notai, medici, politici e mondo accademico riuniti nel corso del convegno Le dichiarazioni anticipate di trattamento. Scelte normative e profili operativi organizzato nei giorni scorsi a Milano da Federnotai e Assonotai Lombardia con il patrocinio di Confprofessioni (il dibattito completo è visualizzabile al seguente link: http://bit.ly/2tBiR7P). Secondo Carmelo Di Marco, presidente di Federnotai: “Il Notariato sostiene la necessità di un unico registro nazionale delle Dat, che ne permetta la conservazione e la conoscenza in tempo reale in qualunque punto del territorio nazionale e che possa anche essere collegato agli omologhi registri di altri Paesi e integrato con essi. Ed è pronto a dare il suo contributo. Tutti i notai italiani appartengono a un’unica rete telematica unitaria, grazie alla quale alimentano con i loro atti i Pubblici Registri. La stessa rete potrebbe essere utilizzata per creare e aggiornare nel tempo un registro nazionale delle Dat, consultabile non solo da parte dei notai ma anche da parte dei medici operanti in tutte le strutture appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale e anche in strutture sanitarie private”.

Ma gli italiani cosa ne pensano? Il 75%, secondo i sondaggi, sarebbe favorevole all’eutanasia. A rivelare i dati Marco Cappato, radicale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.

Quello sul biotestamento non rischia di diventare uno “scontro-confronto” tra laici e cattolici?

Per fortuna no. Ci sono teologi, cattolici, soprattutto in Belgio, che nel nome del principio del libero arbitrio sono favorevoli sia alla legalizzazione della libertà e responsabilità di scelta dell’eutanasia sia al testamento biologico. Allo stesso tempo ci sono atei “scatenati” sulla pretesa della coercizione ideologica della vita altrui. Il codice penale per il quale dovrò rispondere in udienza il 6 luglio (in merito alla vicenda di Dj Fabo), per il reato ipotizzabile di aiuto al suicidio (che condanna a un minimo di 5 fino a un massimo di 12 anni di carcere), risale al 1930, in piena era fascista. E d’altronde se le battaglie e gli obiettivi delle libertà civili fossero uno scontro tra laici e cattolici non sarebbe stato possibile all’Italia degli anni ’70 legalizzare il divorzio e l’aborto. E non sarebbe possibile che oggi tutti i sondaggi confermano che il 75% degli italiani sarebbe favorevole all’eutanasia. Questa situazione non fotografa dunque uno scontro tra laici e cattolici, ma se mai una democrazia incapace di funzionare nel rispetto anche della realtà sociale che riguarda le scelte.

C’è il rischio che una decisione, presa in tempi non sospetti, possa poi diventare irrevocabilmente sbagliata e contraria anche alla libertà di scelta successiva?

Premesso che nessuno è obbligato a fare il testamento biologico, come nessuno è obbligato a fare l’eutanasia, è la legge illiberale che obbliga tutti a fare nello stesso modo. In uno Stato liberale, la legge serve esattamente al contrario. A che la mia libertà sia esercitata fino al punto in cui non limita, offende o viola la libertà altrui. Altrimenti la discussione nemmeno esiste. E la libertà di scelta è al centro di questo dibattito. Come potrebbe non esserlo? Certo poi lo Stato deve fare tutto il possibile sulle cure palliative. Apro una parentesi: Belgio e Olanda, i “perfidi” legalizzatori dell’eutanasia, sono ai primi livelli al mondo sull’effettiva disponibilità delle cure palliative e dell’assistenza. L’Associazione Luca Coscioni, con me, Mina e Piergiorgio Welby, si batteva e si batte per la libertà di ricerca scientifica, quella che in Italia non si può fare sugli embrioni per esempio. Ma si batte anche per l’eliminazione delle barriere architettoniche, per l’assistenza autogestita. Non c’è contraddizione tra battersi per le cure, la libertà di cura e il rispetto della scelta di una persona che a un certo punto dice “basta”. È veramente libera la persona che dice basta? Porre questa domanda è negare qualsiasi possibilità di autonomia individuale, sempre. Siamo noi veramente liberi in assoluto? No. Siamo condizionati. Ciò non toglie che lo Stato abbia il dovere di riconoscere la libertà che è responsabilità anche di commettere errori. Qui l’unico delirio di onnipotenza è di chi? Non di chi pretende di essere assolutamente libero (la libertà assoluta non esiste), ma di chi pretende di decidere per l’altro. Questo è il problema. Perché noi oggi, teoricamente, non avremmo bisogno di nessuna legge sulla base della giurisprudenza. La legge sul testamento biologico è letteralmente inutile, sarebbe letteralmente inutile. Perché Eluana Englaro ha ottenuto il rispetto della propria volontà anche in assenza di un pezzo di carta scritto. Quindi di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando del fatto che Eluana Englaro ci ha messo 18 anni, 18 anni di ricorsi giudiziari; stiamo parlando del fatto che Piergiorgio Welby ci ha messo 3 mesi fino a che il tribunale di Roma gli ha negato di porre fine all’accanimento terapeutico; stiamo parlando del fatto che Mario Riccio, l’anestesista che ha aiutato Welby a fare la sedazione terminale è stato prosciolto, dopo essere stato incriminato, perché nel corpo di Welby si è trovata una quantità di anestetico inferiore alla dose letale. Altrimenti, a proposito di legge, la legge che c’è lo avrebbe condannato fino a 16 anni di carcere. Questo è il delirio di onnipotenza: chi infligge una violenza su un corpo altrui che ha deciso altrimenti da come vorremmo noi, chiunque questo “noi” sia. La legge serve a dare il massimo di garanzie possibili per assistere la scelta e la cura, ma anche per rispettarla. Perché se non c’è rispetto della scelta non ci sarà neanche la fiducia da parte del paziente che il suo “basta” sarà rispettato come “basta”.

 

di Marianna Castelluccio

 

Notizia pubblicata il 19/06/2017 ore 17.31


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