La crisi, la solitudine, il borsellino spesso vuoto perché magari bisogna sostenere una spesa imprevista. Sono diversi i fattori che incidono sulle abitudini alimentari di tutti noi e in modo particolare degli anziani. Fattori ai quali bisogna aggiungere elementi di tipo culturale, di estrazione sociale, di salute ed autonomia di vita che messi tutti insieme fanno sentire le loro conseguenze anche a tavola. L’Auser, lo Spi Cgil e la Fondazione Di Vittorio,  hanno messo il naso nel piatto degli anziani per esaminare le loro abitudini. Frutta fresca e pane (per circa l’85% degli intervistati) seguiti dalle verdure, ortaggi e cereali sono gli alimenti e i cibi della dieta quotidiana degli anziani, seguiti da ortaggi e verdura, cereali e derivati (52,4%), formaggi nel 19,5%, carni trasformate sono presenti in misura maggiore di quelle fresche (9,8%  contro il 9%).

Difficile rinunciare ad un bicchiere di vino rosso durante i pasti, infatti le bevande alcoliche sono  assunte quotidianamente dal 41% degli anziani intervistati. Pesce e uova sono consumati raramente tutti i giorni, la percentuale si abbassa al 4-6% degli intervistati, mentre porzioni quotidiane di legumi sono segnalate  dal 7,5% degli anziani. Questi ultimi gruppi di alimenti sono largamente presenti nella dieta settimanale con percentuali comprese tra l’85% e il 90%.

Il fattore economico influisce senza dubbio sulla composizione della dieta. Verdura e ortaggi  sono consumati  una volta al giorno da circa il 47-48% degli intervistati in tutte le classi di reddito, ma il consumo frequente e cioè più volte al giorno si attesta sul 17,3% di coloro che hanno pensioni tra 500 e 800 euro al mese, e sul 28,6%  di chi ha pensioni superiori a 1500 euro mensili. Se si è in due si mangia meglio, lo dice chiaramente la ricerca dell’Auser  e dello Spi. Le persone che vivono da sole, infatti, hanno una dieta meno varia e “più povera” con maggiore utilizzo di legumi e uova. La crisi economica ha inciso profondamente sul paniere della spesa degli anziani, con il calo di alcuni alimenti e la crescita di altri. Il 17,7% delle persone intervistate hanno patito una diminuzione in quantità e qualità dei pasti giornalieri a causa della crisi.

Chi ha patito la crisi fa la spesa soprattutto nei discount (38,7% contro 20,9% di chi non ne ha subito i contraccolpi), ritorna nei mercati rionali (31,7% contro 22,6%), abbandona i supermercati (49,8%, contro 82,8% del totale degli intervistati), ma ricorre in maniera analoga ai negozi di quartiere (22,3% contro 25,4%). Inoltre, sebbene non cambi la frequenza con cui si fa la spesa settimanalmente, per coloro che hanno diminuito i pasti è più frequente l’esclusività con un singolo luogo della spesa (56,5% contro 46,9%).

Chi fa abitualmente la spesa al supermercato è il 54,8% dei rispondenti, mentre si attesta al 90,7% tra chi ha pensioni superiori a 1.500 euro. Viceversa, i discount sono frequentati dal 33,7% delle persone che dichiarano pensioni tra 500 e 800 euro, e dal 16,5% dei pensionati con più di 1.500 euro. Tra chi vive solo risulta maggiore il numero di chi fa la spesa abitualmente nei discount (29% contro il 20% di chi vive con coniuge o figli).

Anche l’età incide sui luoghi dove si fa la spesa. Più si è anziani e più si preferisce  frequentare il negozio vicino casa. Il 40,1% degli intervistati è disponibile a cambiare le proprie abitudini alimentari. Tra le motivazioni, prevalgono quelle legate alla salute e al benessere (84%), ma vi sono quote di persone per le quali il cambiamento è anche associato a obiettivi di sostenibilità ambientale (eliminare lo spreco per il 9,8% degli intervistati, e produrre meno rifiuti e inquinamento per il 6,1%).


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