Referendum trivelle: appello degli scienziati per il Sì
“Votiamo sì perché vogliamo che il governo intraprenda con decisione la strada della transizione energetica per favorire la ricerca e la diffusione di tecnologie e fonti energetiche che ci liberino dalla dipendenza dai combustibili fossili”: è quanto affermano 50 scienziati che hanno deciso di schierarsi apertamente per il Sì al referendum sulle trivellazioni in mare del prossimo 17 aprile. Alla base della loro scelta, spiegano in un documento, ci sono ragioni energetiche, economiche, occupazionali, ambientali ed etiche.
“Ci sono precise ragioni energetiche, economiche, occupazionali, ambientali, etiche e culturali che ci obbligano a sottolineare che è interesse di tutti muoversi con lungimiranza e determinazione verso una società sempre più libera dall’utilizzo dei combustibili fossili”. Questa la posizione degli scienziati per il Sì, che nel documento sottolineano inoltre come il quesito referendario sia collegato anche alla questione climatica. “Il prossimo 22 aprile capi di Stato e di governo convocati dal Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, firmeranno, per renderlo definitivamente operativo, l’Accordo di Parigi, risultato della COP 21 sui cambiamenti climatici di dicembre. L’accordo, raggiunto all’unanimità da 195 paesi più l’Unione Europea, rappresenta l’avvio definitivo del passaggio dai combustibili fossili, responsabili principali del cambiamento climatico oggi in atto, alle energie rinnovabili, all’efficienza e al risparmio energetico e a tutte le straordinarie innovazioni presenti in questo campo nonché allo stimolo scientifico e tecnologico per produrne di nuove”.
Le ragioni del Sì al referendum addotte dagli scienziati sono diverse. Ci sono intanto quelle economiche, collegate al fatto che “il quantitativo di petrolio e di gas naturale fornito al nostro Paese dalle piattaforme entro le 12 miglia non supera rispettivamente lo 0,9% ed il 3% dei consumi nazionali. Una quantità irrisoria, anche perché il consumo dei combustibili fossili è in continuo calo (- 22% di gas e -33% di petrolio negli ultimi 10 anni), grazie al boom delle fonti rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico, eolico, geotermico, biomasse) che hanno già contribuito a cambiare il sistema energetico italiano e oggi coprono il 40% della domanda elettrica”. Inoltre in Italia le estrazioni petrolifere non sono una grande risorsa per le casse statali perché le società godono di royalties basse. Anche le ricadute occupazionali vengono ridimensionate: “Le stime ufficiali (fonte Isfol) sull’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia parlano di 9mila impiegati in tutta Italia e 3mila nelle piattaforme oggetto del referendum. Un settore già in crisi da tempo, indipendentemente dal referendum, per la riduzione dei consumi nazionali di gas e petrolio e la mancanza di una seria politica energetica nazionale. L’unico modo per garantire un futuro occupazionale duraturo è quello di investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica: tutte le previsioni parlano di un settore delle rinnovabili in espansione, che in Italia potrebbe generare almeno 100mila posti di lavoro al 2030”.
Naturalmente ci sono poi le ragioni ambientali e il rischio che l’attività delle piattaforme rilasci sostanze chimiche inquinanti e pericolose, come olii, greggio (nel caso di estrazione di petrolio), metalli pesanti o altre sostanze contaminanti (anche nel caso di estrazione di gas), con gravi conseguenze sull’ambiente circostante. Va poi considerato che i mari italiani sono mari “chiusi” e un eventuale incidente sarebbe fonte di danni incalcolabili.
Non sono da trascurare poi le ragioni etiche e culturali, che partono da una contestazione dell’invito all’astensione. “Invitare all’astensione in una consultazione democratica è sempre un atto di irresponsabilità civile e politica che non può che aggravare la grande malattia delle democrazie contemporanee: l’astensione dilagante. Inoltre questo referendum, al di là del significato letterale del quesito, e del rapporto con i ricorrenti fenomeni di corruzione, che sono emersi di nuovo in questi giorni, chiede di assumerci una personale responsabilità per il futuro del nostro paese sul fronte dei cambiamenti climatici e del futuro di noi tutti: la produzione di idrocarburi ci fa rimanere legati a un sistema energetico ormai obsoleto che causa l’alterazione delle dinamiche del sistema climatico”.