Commercio elettronico: il geoblocco è diffuso in tutta l’Unione europea
Fra gli ostacoli al commercio elettronico e al mercato digitale c’è il geoblocking, quella pratica che limita l’accesso ai contenuti internet in base alla posizione geografica del consumatore, e che finisce per impedire agli europei che viaggiano nell’Unione di seguire film, trasmissioni sportive o ebook che hanno pagato nel proprio paese di origine. Oppure che impedisce, semplicemente, di consegnare all’estero un bene di consumo. I primi risultati di un’indagine sul commercio elettronico fatta dalla Commissione europea evidenzia che i geoblocchi sono diffusi in tutta l’Unione europea. E che questo non dipende soltanto dalle decisioni unilaterali delle imprese di non vendere all’estero, ma anche dalla presenza di ostacoli contrattuali eretti dalle imprese, che impediscono ai consumatori di fare acquisti online negli altri paesi dell’UE.
La Commissione ha dunque presentato le prime conclusioni sulla diffusione della pratica del geoblocco, che impedisce ai consumatori di acquistare beni di consumo e di accedere a contenuti digitali online nell’Unione europea. Le informazioni sono state raccolte dalla Commissione nell’ambito di un’indagine antitrust nel settore del commercio elettronico, avviata nel maggio 2015 e tuttora in corso. In particolare, le risposte inviate da oltre 1400 dettaglianti e fornitori di contenuti digitali di tutti i 28 Stati membri dimostrano che nell’UE i geoblocchi sono comuni e diffusi, sia per i beni di consumo che per i contenuti digitali. Il 38% dei dettaglianti che vendono beni di consumo e il 68% dei fornitori di contenuti digitali hanno risposto affermando di applicare i geoblocchi nei confronti dei consumatori che si trovano in altri Stati membri dell’UE.
Nel dettaglio, il 38% dei dettaglianti che hanno partecipato all’indagine e che vendono online beni di consumo, quali abbigliamento, calzature, articoli sportivi e apparecchi elettronici di consumo, utilizza i geoblocchi: in genere, in questo caso, si verifica il rifiuto di consegna all’estero, anche se in alcuni casi c’è il rifiuto di accettare sistemi di pagamento esteri e, con minore frequenza, ci sono casi di ridirezionamento verso altri siti e di blocco dell’accesso al sito. Anche se la maggioranza di tali geoblocchi deriva da decisioni commerciali unilaterali dei dettaglianti, il 12% di questi ultimi afferma di essere soggetto a restrizioni contrattuali alla vendita oltreconfine per almeno una delle categorie di prodotti offerti. Un altro aspetto riguarda invece i contenuti digitali online: in questo caso, la maggioranza (68%) dei fornitori ha risposto che applica geoblocchi nei confronti degli utenti residenti in altri Stati membri dell’UE. In genere, il geoblocco viene applicato dopo avere analizzato l’indirizzo IP (Internet Protocol) dell’utente, che permette di identificare e localizzare il computer o lo smartphone. Il 59% dei fornitori di contenuti digitali che ha risposto ha precisato che sono i fornitori a monte che impongono per contratto l’uso dei geoblocchi. Per quanto riguarda la diffusione dei geoblocchi, esistono notevoli differenze, che dipendono dalle categorie dei contenuti digitali e dagli Stati Ue.
Il mercato online e le vendite transfrontaliere crescono lentamente. Uno dei fattori che incide su tutto questo è appunto la pratica del geoblocco. Come spiega la Commissione europea, “si tratta di un fattore che incide sul commercio elettronico transfrontaliero. In alcuni casi i geoblocchi risultano associati ad accordi tra fornitori e distributori. Gli accordi di questo tipo possono limitare la concorrenza nel mercato unico e quindi violare le norme antitrust dell’UE. Ogni caso, tuttavia, deve essere valutato singolarmente. Diversamente, se il geoblocco viene adottato sulla base di una decisione commerciale unilaterale dell’impresa, che ha scelto di non vendere all’estero, e se l’impresa in questione non occupa una posizione dominante, è ovvio che la pratica esula dall’ambito di applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione europea”.
L’indagine Antitrust sul commercio elettronico è stata avviata a maggio dello scorso anno ed è tuttora in corso, mentre nei prossimi mesi la Commissione proporrà un pacchetto legislativo volto a promuovere il commercio elettronico in tutta l’Unione. Ha detto Margrethe Vestager, commissaria europea responsabile della politica di concorrenza: “Le informazioni raccolte grazie alla nostra indagine settoriale sul commercio elettronico hanno confermato gli indizi che ci hanno spinto ad avviare l’indagine: non solo la pratica dei geoblocchi impedisce spesso ai consumatori europei di acquistare prodotti o contenuti digitali online in altri paesi dell’UE, ma esistono casi in cui tale pratica è il risultato di restrizioni previste dagli accordi tra fornitori e distributori. Il fatto che un’impresa che non occupa una posizione dominante decida unilateralmente di non vendere all’estero esula dal campo di applicazione del diritto della concorrenza. Tuttavia, se la pratica del geoblocco viene adottata in virtù degli accordi, dobbiamo verificare se non siano all’opera comportamenti anticoncorrenziali, cui si può porre rimedio utilizzando gli strumenti di cui l’Unione europea dispone in materia di concorrenza. “