Liste di attesa, la salute non può attendere. Ma per un ECG urgenti ripassi fra 118 giorni (Foto di Gerd Altmann da Pixabay)

Liste di attesa, la salute non può attendere. Ma per un ECG urgente ripassi fra 118 giorni

Visite specialistiche ed esami diagnostici, le liste di attesa dicono di ripassare dopo 735 giorni per una ecodoppler cardiaca, dopo 482 giorni per una mammografia bilaterale, dopo 118 giorni per un elettrocardiogramma in urgenza. Il dossier sulle liste di attesa di Federconsumatori e la drammatica situazione della sanità

Serve un elettrocardiogramma? Ripassi fra 400 giorni e, se proprio è urgente, aspetti 118 giorni. Che sono quattro mesi. Il problema delle lunghe liste di attesa è tutto qui, in pochi numeri che fanno emergere la gravità del fenomeno nel momento in cui serve una visita specialistica o un esame diagnostico, che sia urgente o programmabile. Se poi è programmabile, se ne parla a centinaia di giorni di distanza rispetto a quando viene fatta la richiesta.

Ritardi, disparità territoriali e crisi della sanità

La salute non può attendere. Monitoraggio nazionale delle liste di attesa” è il dossier realizzato da Federconsumatori e Fondazione Isscon, con il contributo dell’Area Stato Sociale e Diritti della Cgil. Il dossier fotografa i tempi massimi di attesa registrati nelle Regioni e P.A. di Trento e Bolzano, nelle 41 aziende sanitarie locali di aree metropolitane e periferiche alle grandi Città e in 13 aziende ospedaliere.

La situazione è drammatica, fatta di ritardi, disparità territoriali e mancata trasparenza.

“I tagli alla sanità e la carenza di personale, mentre aumentano i costi di produzione dei servizi, continuano a produrre ritardi e disservizi nel governo della domanda di prestazioni”, spiega Federconsumatori.

L’analisi prende in considerazione anche il contesto sanitario, sociale, economico e territoriale dentro cui si muove il fenomeno delle liste di attesa e le tante disuguaglianze nell’accesso alle prestazioni sanitarie.

Su questo contesto, spiega l’associazione, “pesano i tagli al Fondo Sanitario, le differenze di riparto fra regioni, i tanti commissariamenti lacrime e sangue per i cittadini, la spesa privata crescente per le cure arrivata, nel 2021, a ben 41 miliardi di euro e che varia in relazione ai territori ed alle condizioni sociali delle famiglie. Ciò a dimostrazione che laddove il pubblico arretra non tutte le famiglie sono nelle condizioni di sostenere i costi per le cure private. Ciò accade soprattutto nel Mezzogiorno dov’è più bassa la qualità e la garanzia dei Lea più alta la migrazione e l’aspettativa di vita”.

Liste di attesa, ripassare dopo un anno e mezzo o due

I tempi massimi di attesa rilevati fra Regioni e strutture sanitarie sono impressionanti.

Per le visite specialistiche, si arriva a tempi massimi di attesa di 612 giorni di attesa in classe B per una visita endocrinologica; 426 giorni per una prima visita cardiologica; 677 giorni per una prima visita oculistica; 611 giorni, in classe D, per visita gastroenterologica; 176 giorni per una visita oncologica; 342 giorni per una visita ginecologica in classe P.

Ripassare l’anno prossimo, insomma, per le visite specialistiche, mentre non sono da meno le attese più elevate riscontrate per gli esami diagnostici che scalano anche a due anni dopo. Il monitoraggio sulle liste di attesa stilato da Federconsumatori trova 735 giorni di attesa per una ecodoppler cardiaca; 118 giorni, in classe di Urgenza e 403 giorni, in classe D, per un elettrocardiogramma. Bisogna aspettare anche 546 giorni per un RM alla colonna, 482 giorni per una mammografia bilaterale, 545 giorni per una ecografia all’addome in classe B e 458 giorni per un’ecografia ginecologica.

Definanziamento della sanità e rinuncia alle cure

“L’aumento esponenziale dei tempi di attesa per visite, esami e prestazioni costituisce una delle principali conseguenze del progressivo definanziamento del SSN. La sanità pubblica vive nel Paese una condizione di stress continuo e di perpetua emergenza, da cui appare impossibile uscire senza un concreto cambio di rotta che, tuttavia, non sembra imminente”.

Così si legge nel dossier, che esamina le criticità della sanità pubblica in Italia. Alla crisi del Covid e al definanziamento degli ultimi anni seguiranno ulteriori riduzioni della spesa sanitaria, prevista al 6,1% del Pil nel 2026.

Tutto questo ha ripercussioni drammatiche sul diritto alla salute. A oggi il 7% della popolazione italiana (circa 4 milioni di persone) ha rinunciato alle prestazioni sanitarie, per problemi economici o per difficoltà di accesso ai servizi riconducibili alle liste di attesa. Anni di tagli alla sanità pubblica hanno depotenziato il servizio sanitario nazionale e hanno spostato la domanda verso la sanità privata, tanto è vero che la spesa privata degli italiani per la salute è stimata in 41 miliardi di euro annui nel 2021 (dati Istat) e con tendenza alla crescita.

Lunghe liste d‘attesa, difficoltà d’accesso ai servizi (spesso ridotti in condizioni precarie per chi ci lavora, come per chi ne fruisce) e percorsi tortuosi nella presa in carico dei bisogni di salute, sono sempre più alla base del fenomeno della migrazione sanitaria dal Sud verso il Nord Italia – spiega il dossier – La Fondazione Gimbe ha fotografato per l’anno 2018 il flusso della migrazione per Regioni e l’imponenza delle risorse che dal Sud muovono verso il Nord, quantificando in circa 14 miliardi di euro le risorse pubbliche sanitarie che, negli ultimi 10 anni, hanno preso la via delle regioni del Nord ed in molti casi, verso strutture private convenzionate”.

Le attese infinite significano per molti rinunciare alla salute.

“Da Nord a Sud, la principale causa di rinuncia alle cure è rappresentata dalle liste di attesa, mentre chi dispone di risorse proprie accede a cure private a pagamento”.

L’Istat stima per il 2022, sul totale delle persone con multimorbilità, 1,7 milioni costrette a rinunciare a prestazioni sanitarie, pari a 1 persona su 7 (nel 2019 il rapporto era 1 su 9). I dati elaborati da Federconsumatori su base Istat quantificano, per il 2021, in 41 miliardi di euro la spesa complessiva diretta sostenuta dalle famiglie per la salute. Di questi, 36,5 miliardi di euro per servizi di cura, con un aumento medio annuo dell’1,7% nel periodo 2012/2021 e del 2,1% sul 2019; 4,5 miliardi di euro per diverse forme di finanziamento volontario, di cui 3,4 miliardi di euro per assicurazioni sanitarie volontarie, con una crescita media annua dal 2012 del 2,9%.

La spesa diretta delle famiglie per la salute, esclusi i finanziamenti volontari, nel 2022 ammontava a 113,52 euro come media mensile nazionale. Ma la cifra è inferiore al Sud, nelle famiglie con basso titolo di studio, nelle famiglie di soli stranieri, di operai e per le famiglie numerose, nei comuni sotto i 50 mila abitanti che spesso hanno minori servizi sanitari. E questo significa disuguaglianze sociali. La sanità che non cura e lascia indietro quanti non possono pagare.


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