“Mi dispiace. È stato chiaramente un errore”. Quasi come un bambino che si giustifica per aver fatto una marachella, Mark Zuckerberg ha espresso tutto il suo rammarico per essersi fidato sulla parola di Cambrige Analytica, la società che aveva promesso di non usare i dati degli iscritti al social network più popolare del mondo per finalità improprie. Una leggerezza di valutazione, se così vogliamo definirla, che sta costando molto cara al CEO di Facebook. Ieri Mr Zuckerberg per oltre cinque ore ha dovuto prestare il fianco alle domande della Commissione giustizia e commercio del Senato americano. E oggi si continua davanti alle Commissioni della Camera.

Una maratona di due giorni che, si spera, possa fare un po’ di chiarezza su un caso che ha ancora molti lati oscuri, se non altro per quanto riguarda le responsabilità in ballo.

Ieri mattina a Bruxelles si è svolto l’incontro tra i Garante per la Privacy europei per decidere le prossime mosse. Antonello Soro ha ribadito la situazione italiana che vedrebbe il coinvolgimento di circa 214.000 utenti Facebook e ha sottolineato l’importanza di ampliare i compiti della task force che era stata creata per verificare l’utilizzo delle informazioni degli utilizzatori di WhatsApp da parte di Facebook. Le due piattaforme fanno capo ormai alla stessa società, quella con sede a Menlo Park e amministrata da Zuckerberg, ma lo scambio di informazioni, senza l’esplicito consenso degli utenti, era già avvenuto in altre occasioni.

Nel caso italiano la contestazione del Garante della Privacy che Facebook ha permesso un trasferimento di dati alla società Cambridge Analytica senza il consenso degli interessati, cambiando la finalità d’uso che si è poi rivelata quella della propaganda elettorale.

Il timore è che le “vittime” siano state influenzate su alcuni temi come il razzismo e l’immigrazione. Secondo le verifiche svolte dagli analisti dell’intelligence, ci sono infatti stati scambi fra gli italiani profilati da Cambridge Analytica — che in queste ore stanno ricevendo un avviso sulla loro pagina Facebook della possibile violazione — e alcuni finti account che avevano come caratteristica quella di avere la parola “Salvini” nell’intestazione (https://www.corriere.it/tecnologia/18_aprile_09/dati-profili-usati-fini-elettorali-roma-chiede-danni-facebook-d2f988de-3c1e-11e8-b32d-1ffee392ceeb.shtml).

L’Italia ha quindi intenzione di chiedere l’applicazione delle sanzioni previste dalle nuove norme del regolamento europeo che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio e amplierà l’indagine alle altre aziende specializzate in marketing politico che avevano siglato accordi con Facebook.

Ecco quindi che la nota stonata in questo concerto di diritti violati è sempre la stessa: la scarsa consapevolezza delle condizioni d’uso di questi strumenti e della destinazione finale e intermedia di tutto quanto condividiamo al loro interno ogni giorno.


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