La morte di Satnam Singh sta facendo rumore (Foto Pixabay)

La morte di Satnam Singh sta facendo rumore. La morte atroce del bracciante indiano che prima ha avuto il braccio mozzato in un’azienda agricola di Latina e poi è stato letteralmente scaricato dal datore di lavoro davanti casa, insieme alla moglie, senza ricevere soccorso, ha dato visibilità all’orrore invisibile che in realtà associazioni, sociologi e sindacati denunciano da anni: le condizioni di sfruttamento e di vero e proprio schiavismo in cui si trovano molti lavoratori immigrati impiegati nelle campagne dell’Agro pontino.

È una situazione che conoscono non solo gli addetti ai lavori, ma anche quanti si trovano a raccontare dalle pagine di cronaca locale di incidenti, violenze e sopraffazioni che non fanno rumore più di tanto quando rimangono nelle pagine locali, quando non diventano tragedia, o quando la tragedia rimane nascosta – per chi viene vessato, chi non regge allo sfruttamento e si impicca (è accaduto), per chi è costretto ad assumere antidolorifici per reggere il dolore e la fatica (è stato denunciato).

Ha scritto su Domani Marco Omizzolo, sociologo che da anni denuncia caporalato e sfruttamento nell’Agro pontino: “Quanto accaduto a Satnam segna dunque la coscienza di questo Paese ma non di questo governo, che disvela l’intima natura di un sistema di sfruttamento che permette a padroni italiani e a caporali di ottenere profitti milionari a fronte di un lavoro che costa la vita a migliaia di lavoratori e lavoratrici spesso di origine straniera”.

Terra!: Non possiamo tacere di fronte a un atto criminale

L’associazione Terra!, che si occupa di agricoltura, diritti e storture della filiera agricola, ha pubblicato un editoriale a firma del direttore Fabio Ciconte in cui si chiede che la morte di Satnam Singh faccia rumore.

Non possiamo tacere di fronte a questo atto criminale – scrive Ciconte – In tutti questi anni, con Terra! abbiamo continuato a denunciare le nuove forme di sfruttamento, lo abbiamo fatto al Sud e nelle regioni del Nord Perché dovunque abbiamo indagato, abbiamo trovato situazioni di sfruttamento e caporalato. Di fronte alla morte di Satnam, giunto in Italia come tanti altri lavoratori indiani che vivono nella provincia di Latina, riusciamo a provare solo tantissima rabbia. Per aver detto spesso e a voce alta che lo sfruttamento c’è, esiste, e ha tantissime facce. E se solo si avesse voglia di guardarle, si capirebbe che c’è moltissimo da fare. Perché lo sfruttamento si annida laddove c’è spazio. Lo spazio lasciato dalle istituzioni. Lo spazio lasciato dalla nostra disumanità e indifferenza”.

Dopo due giorni intanto il caso è esploso anche con le prime prese di posizione del Governo. Ministra del Lavoro e Ministro dell’Agricoltura hanno convocato un incontro d’urgenza con le parti sociali.

Per l’occasione ha detto il presidente di Cia-Agricoltori Italiani Cristiano Fini: «Il rifiuto del lavoro nero e del caporalato sono due dei principi cardine che guidano la nostra azione sindacale. È chiaro che le eccellenze del nostro Made in Italy devono essere legate non solo alla qualità indiscussa delle produzioni agricole italiane, ma anche alla qualità e alla dignità del lavoro e della vita dei lavoratori agricoltori. Non basta solo esprimere profondo cordoglio davanti all’inaccettabile vicenda del bracciante indiano, Satnam Singh, vergognosamente abbandonato in strada dopo il gravissimo infortunio nei campi nell’Agro Pontino. Serve fare di più e valorizzare e tutelare le tante aziende agricole che operano in regime di legalità».

“Non sul nostro piatto”

Sfruttamento e schiavismo sui campi agricoli portano dunque a riflettere anche sui costi umani di tanti prodotti made in Italy. Nelle campagne dell’Agro pontino, come in altre realtà, si produce tanta ortofrutta. Il tema dunque, dal lato dei consumatori e dei cittadini, diventa come evitare che nel piatto finiscano prodotti frutto di violenza e violazione dei diritti umani.

Federconsumatori ha chiesto “ un sistema di etichettatura sociale che certifichi la correttezza dei processi produttivi, le condizioni e la sicurezza dei lavoratori”.

Codacons chiede “un bollino che certifichi la legalità sul fronte delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e controlli a tappeto sulle aziende, specie quelle agricole che utilizzano lavoratori stranieri per la propria attività”. L’associazione ha presentato un’istanza alla Presidenza del Consiglio e al Comando Generale della Guardia di Finanza.

“Il caporalato rende enormemente alle aziende in termini economici, poiché sfrutta la necessità dei lavoratori stranieri di trovare un impiego in Italia, ed è per questo che tale fenomeno è sempre più difficile da debellare, nonostante anni di chiacchiere e promesse da parte della politica”, afferma il Codacons, che chiede di adottare “un certificato di legalità che attesti il rispetto delle leggi, della sicurezza, e dei diritti dei lavoratori da parte delle aziende agricole di tutta Italia”, rilasciato dalla Guardia di Finanza.

E chiede controlli che portino “non solo alla chiusura di quelle aziende che non rispettano i requisiti di legge o che sfruttano e mettono a rischio la sicurezza dei lavoratori, ma anche al blocco della commercializzazione dei loro prodotti sul territorio”.

Da ricostruire per intero è però tutto quel sistema che si fonda sullo sfruttamento delle persone, migranti, richiedenti asilo, fasce sociali più fragili, e che vuole letteralmente “braccia, non persone”, a lavorare sui campi agricoli. Vuole schiavi privi di diritti, non lavoratori. C’è solo da sperare che il rumore provocato oggi dalla morte di Satnam Singh non finisca nell’oblio domani.


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