Il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa ha richiamato l’Italia riguardo alle difficoltà di accesso delle donne ai servizi di interruzione di gravidanza, sottolineando, tra l’altro, l’emarginazione dei medici non obiettori. Alle accuse mosse dall’istituzione europea ha reagito immediatamente il Ministero della Salute che in una nota fa presente come, il pronunciamento del Consiglio d’Europa non ha di fatto tenuto conto dei dati contenuti nell’ultima Relazione al Parlamento sull’applicazione delle Legge 194/78.
La relazione mostra, come il dato relativo alle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) si sia dimezzato dall’1983 ad oggi (233.976 le IVG nel 1983, 102.760 nel 2013 e 97.535 nel 2014, primo anno in cui le IVG sono scese sotto la soglia delle 100.000). A questo dato corrisponde un valore sostanzialmente costante dei ginecologi non obiettori: 1607 nel 1983, e 1490 nel 2013, con un conseguente dimezzamento del numero di IVG settimanali, a livello nazionale, a carico dei ginecologi non obiettori, che nel 1983 effettuavano 3.3 IVG a testa a settimana (su 44 settimane lavorative), e ne effettuano 1.6 nel 2013.
Inoltre, a luglio del 2013, il Ministro Lorenzin, per la prima volta in Italia, ha dato avvio ad un ha attivato il “Tavolo di lavoro per la piena applicazione della L.194”. Al Tavolo partecipano tutti gli Assessori Regionali e l’ISS con l’obiettivo di monitorare le attività di IVG e su obiezione di coscienza a livello di singola struttura di ricovero e nei consultori familiari, per individuare eventuali criticità nell’applicazione della legge. In sintesi, dalla relazione del 2015 (relativa ai dati definitivi del 2013 e preliminari del 2014) emerge che “il numero di non obiettori risulta quindi congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle IVG effettuate, e il carico di lavoro richiesto non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le IVG e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG. Dal punto di vista del Ministero, quindi, le difficoltà nell’accesso ai servizi, quindi, sono probabilmente da ricondursi a situazioni ancora più di dettaglio di quelle delle singole aziende sanitarie rilevate nella presente relazione, e riferite a singole strutture”.
Mentre il Ministero cerca di difendere la sua posizione, dimostrando, numeri alla mano, come le disposizioni di legge siano state di fatto rispettate, le associazioni dei consumatori cominciano a delimitare la loro posizione. Federconsumatori fa sapere infatti che “vigilerà affinché sia data piena applicazione a tale pronunciamento, nel più rapido tempo possibile. Ora il nostro Paese non si può più tirare indietro: è necessario ristabilire il pieno rispetto del diritto di una donna a scegliere se diventare o no madre, senza discriminazioni o ostacoli di alcun genere”.


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