Quando ti rubano l’idea: il business del falso
Le idee nascono, diventano prodotti (o servizi), il mercato e i consumatori li promuovono o li bocciano e poi invecchiano. Cosa succede quando l’idea viene rubata? Succede che viene rubato il prodotto, il mercato va in crisi, i consumatori in confusione, la concorrenza viene sfalsata e l’economia va a rotoli. Sono queste, in sintesi, le conseguenze della contraffazione. Di questo si è parlato a Roma nel corso del convegno organizzato in occasione della Giornata Mondiale della Proprietà Intellettuale. Oggi si imita illegalmente una quantità innumerevole di prodotti: il business delle imitazioni è racchiuso in una forchetta compresa tra 3,5 e 7 miliardi. Per avere un’idea delle dimensioni assunte dal fenomeno, basta pensare che nel 2010 l’Agenzia delle dogane ha sequestrato oltre 15 milioni di prodotti. I pezzi requisiti dalla Guardia di Finanza sono invece 110 milioni.
Inevitabile confrontare tali numeri con la perdita potenziale in termini di crescita: secondo il Censis, sconfiggere il fenomeno della contraffazione garantirebbe 130 mila unità di lavoro aggiuntive. E se il valore della contraffazione venisse portato sul mercato legale verrebbero registrati una produzione aggiuntiva pari a circa 18 miliardi e un valore aggiunto pari a 6 miliardi.
Anche in questo settore l’Italia vanta un record quanto è uno dei Paesi a maggiore rischio di perdita di competitività a causa dello sviluppo del mercato del falso, anche perché, disponendo di una struttura produttiva composta per la grande maggioranza da imprese piccole e medio-piccole, ha difficoltà ad attrezzarsi adeguatamente per contrastare il fenomeno. Avendo, inoltre, una significativa quota parte di produzione e di export costituita da prodotti come i beni di lusso, e più in generale quelli del “Made in Italy”, questi sono maggiormente esposti alla concorrenza sleale dei prodotti contraffatti.
Dunque è lecito dire che brevetti, disegni, e marchi hanno un valore economico e giuridico che si evolve nel tempo, la cui tutelabilità può svolgere una funzione di volano per lo sviluppo economico, di strumento strategico a supporto dello sviluppo della competitività e dell’internazionalizzazione del sistema paese.
Dal 2009 è stata istituita la Direzione generale per la lotta alla contraffazione. Obiettivo è, non solo, creare una nuova cultura delle proprietà intellettuale ma rafforzare la lotta alla contraffazione e difendere l’originalità dei prodotti. Coerentemente con la mission la Direzione ha messo in campo una serie di interventi che vanno da un acceleramento dei tempi per la concessione del marchio (in due settimane), alla realizzazione della procedura di opposizione, al lancio di quello che chiamano il ‘pacchetto innovazione’: una serie di incentivi (economici) per favorire lo sviluppo di nuove idee.
Le idee, però, si tutelano anche sul campo, nelle aule dei Tribunali. A tal proposito interessanti sono state le testimonianze dei magistrati delle sezioni specializzate in proprietà intellettuali intervenuti nel corso della mattinata. Nel suo intervento il magistrato del Tribunale di Bari, Nicola Magaletti, è stato chiaro nel dire che il filo conduttore delle sue sentenze è unico: il consumatore deve essere messo in grado di saper distinguere un prodotto da un altro e chi ne approfitta va sanzionato. Come nel caso che ha raccontato, di due marchi nel nome quasi identici “Piumini Danesi” e “Il Piumino Danese originale Danimarca”: poco differenti per imporsi nel mercato in autonomia e senza creare confusione nei consumatori.
Di altro tono l’intervento dei magistrati romani che hanno avuto modo di confrontarsi con cause aventi come ricorrente una griffe del lusso, come Louis Vuitton. Dall’altra parte, un contraffattore cinese. Fuori dubbio il fatto che la griffe avesse ragione sulla parte ‘resistente’, il problema è valutare l’entità del danno. I criteri che si possono applicare sono diversi e vanno valutati caso per caso: mancato guadagno, lucro cessante, riconversione degli utili (difficile da applicare in questo caso perché il contraffattore cinese non ha un libro contabile), valutazione delle royalties sia in concreto che in astratto (dal momento che alcuni marchi, come Louis Vuitton, non licenziano il marchio). Nel caso di specie il magistrato ha liquidato la griffe con 50mila euro: troppo o troppo poco per evitare che le nostre strade vengano riempite di borse contraffatte e il business delle imitazioni si espanda sempre più con le conseguenze di cui sopra?
Di Valentina Corvino